Se l'affluenza è alta vince Renzi

Il pericolo in casa Pd arriva anche dagli istituti di sondaggio: è Swg, nella mattinata di ieri, a buttare un ulteriore fumogeno dentro all’assemblea nazionale democratica, in corso di svolgimento in queste ore.

In sostanza il sondaggio in questione, mostrato dalla trasmissione Agorà (Rai Tre), dice che se alle primarie del centrosinistra andassero a votare almeno 4 milioni di persone, il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, raccoglierebbe il 29 percento dei consensi contro il 26 percento per Bersani. L’attuale segretario sarebbe invece in testa se alle primarie partecipassero 2,6 o 3,3 milioni di persone, rispettivamente con il 37 e il 33 percento contro il 29 del sindaco fiorentino. E qui si apre il tema delle regole di questa consultazione delle primarie: regole stringenti significano una partecipazione più selezionata, più fedele, con meno dispersione verso elettori improvvisati.

Al contrario regole più libere aumenterebbero il rischio “infiltrati” e proprio qui Renzi e i suoi vogliono arrivare: pescare elettori nuovi anche, perché no, dal centrodestra. La lotta sulle regole sta però per andare incontro alla parola fine: l’assemblea nazionale democratica infatti sancirà la reale consistenza della singolar tenzone tra i candidati per la posizione di premier in pectore. Una singolar tenzone che in realtà potrebbe diventare a due turni: Bersani sta infatti spingendo verso questa soluzione, che potrebbe favorirlo, dato che altri candidati, Vendola in primis, gli hanno già mostrato vicinanza ed appoggio nel caso dello scontro finale con Renzi.

Il maggiore oppositore di Bersani in questi giorni è sceso a più miti consigli, pur di non figurare come la persona in grado di spaccare il partito, rompendo quel legame di fiducia con i propri elettori, comunque molto affezionati al Pd. Il sindaco toscano ha dapprima detto sì al doppio turno, potendo contare sul miglior apparato organizzativo dell’intera contesa. In seconda battuta ha accettato anche l’istituzione dell’albo degli elettori. Ma proprio sulle modalità di iscrizione a questo albo casca l’asino del litigio sulle primarie: i bersaniani vogliono un albo chiuso ma pubblico, con una pre-registrazione da effettuarsi almeno una settimana prima del voto e con il ritiro di una vera e propria tessera elettorale analoga a quella con cui si vota alle politiche.

I renziani qui sono venuti meno, essendo favorevoli invece al voto contestuale alla registrazione. Raccontava un anonimo renziano a La Stampa di ieri: «L’effetto sulla partecipazione (con la pre-registrazione, ndr) sarebbe devastante. La differenza è tra avere 700 mila o 4 milioni di votanti». Proprio il numero di partecipanti indicato da Swg per portare Renzi sul gradino più alto. E lo stesso Renzi, durante le riunioni preliminari dell’assemblea nazionale ha tuonato da Reggio Calabria, confermando gli orientamenti delle ultime ore: «È strano che si cambino le regole in corsa, è strano che si inventino delle regole dopo che nel 2005, nel 2007 e nel 2009, quando c’erano Prodi, Veltroni e Bersani, le regole non si sono cambiate.

Quando si è votato per il presidente della Puglia o per il sindaco di Milano - ha proseguito il sindaco fiorentino - le primarie erano le stesse. Io non capisco perché oggi si debba cambiare. Non siamo qui per fare una battaglia sulle regole, siamo qui per fare una battaglia sulle idee. Noi vogliamo cambiare il futuro del Paese, non siamo interessati a una discussione interna al partito. Spero che almeno - ha concluso il candidato alle primarie del Pd - abbiano il buon senso di evitare le palesi assurdità come la preregistrazione». Il dado è tratto: sulle primarie i renziani scendono a buona parte dei compromessi ed il passaggio favorevole sul doppio turno, che è, lo ripetiamo, un grande assist a Bersani, è dimostrazione della buona volontà che Renzi sta cercando di comunicare a tutto il corpo del partito. Quali saranno le decisioni che la confusa assemblea democratica (di cui non si capisce ancora quale sia il numero esatto degli aventi diritto a partecipare) prenderà, è ancora un divenire di colpi e contro colpi di scena, con un risultato che appare storicamente scontato: favorire l’attuale segretario.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:47