AAA cercasi premier disperatamente

Nessuno che ci voglia mettere la faccia. Sembra scattata la sindrome della poltrona che scotta, o meglio dell’urna, visto che tutti vorrebbero fare il presidente del consiglio, ma nessuno si vuole azzardare a chiedere democraticamente il voto agli elettori. 

Dopo anni di tentennamenti, Montezemolo ancora non si decide a fare il salto decisivo e si limita a mettere i suoi voti virtuali a disposizione di Monti. Che sia paura che quei voti virtuali non siano affatto reali, oppure che tema la spada di Damocle del conflitto di interessi, fatto sta che preferisce rimanere in retroguardia a pontificare su quello che gli altri dovrebbero fare, senza tentare di farlo lui stesso. 

Per quanto riguarda Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, ed è facile intuire che, consapevoli dell’insufficienza di voti reali, siano come sempre alla ricerca di un carro buono su cui salire. Molto più semplice appoggiare il Monti di turno che candidarsi direttamente. Se va male, non si assumono la responsabilità della sconfitta. Se va così così, almeno recuperano qualche voto per tornare in parlamento. Se va bene, diventano ago della bilancia e possono continuare a far pesare ogni loro voto per governare ricattando la maggioranza.

Ma l’assurdo è che le tre civette sul comò di Monti lo vogliono candidare alle elezioni senza che neppure lui intenda metterci la faccia. In pratica, loro raccolgono voti per sostenere un presidente che non intende candidarsi. Non che non voglia continuare a governare, lo ha appena chiarito, ma proprio non si vuole abbassare a passare per il vaglio degli elettori. Questa famosa gente, di cui tutti si riempiono la bocca a sproposito, forse non è degna di valutare l’operato di chi si ritiene al di là del giudizio altrui. Il tutto nascondendosi dietro una presunta tecnicità, che non si vuole mischiare con l’infame politica. Peccato che la politica altro non sia che il governo di un popolo, per cui nel momento in cui si raggiunge il potere di governare, ogni atto che si compie è per definizione politico. Semmai non è democratico farlo senza il consenso di quello stesso popolo. La strategia di Monti è comunque win-win: se va male alle tre civette, lui non si assume la responsabilità della sconfitta. Se va così così e non si forma una maggioranza alle urne, lui si spaccia come risorsa della Repubblica e torna al governo. Se va bene idem.

Non che al di fuori di questo disegno le cose vadano meglio, peraltro. Berlusconi continua ad essere in bilico. Da un lato sarà stufo, ed è comprensibile, dall’altro neppure lui sembra aver voglia di assumersi la responsabilità di una sconfitta, per cui si tiene più o meno in disparte, nell’indecisione se appoggiare pure lui Monti prima o dopo le elezioni, a seconda del risultato. Difficile che la strategia paghi, però: se c’è un merito che il Cavaliere aveva, era proprio quello di essere stato il primo a metterci apertamente la faccia e rischiare in prima persona. 

Dal lato dell’antipolitica, poi, c’è colui il quale finge di tenere in gran considerazione la gente, ma neppure lui vuole azzardarsi a chiederne direttamente il voto. Non si sa bene, infatti, chi abbia intenzione di candidare Beppe Grillo, se intenda mettere un fantoccio manovrabile da dietro le quinte o se intenda affidare il governo al dio Internet, in una via di mezzo tra Hal 9000 e la psicostorica Fondazione di Asimov. 

In tutto questo Prerluigi Bersani e Matteo Renzi fan quasi tenerezza, perché, onore al merito, almeno loro danno la parvenza di credere ancora nelle elezioni e, per il momento, sembrano candidarsi davvero alla presidenza del consiglio. Peccato che il loro partito sembri lasciarli giocare alle primarie per far contento chi ci crede, ma di fondo sia già pronto a saltare sul carro del montismo pur di non ritrovarsi nell’incubo di dover governare in alleanza con Nichi Vendola. 

Pure quest’ultimo, peraltro, dopo che annuncia la candidatura da anni, non ha avuto il coraggio di metterla in pratica, forse per la consapevolezza che il carro dell’antipolitica glielo ha già sottratto Grillo. Dal lato Lega, Roberto Maroni sembra rassegnato a fare opposizione e neppure si pone il problema di candidarsi. Quanto ad Antonio Di Pietro, infine, ecco appunto, in fine.

Ci ritroviamo, così, a pochi mesi dalle elezioni senza che nessuno abbia il coraggio di candidarsi apertamente, non solo per la comprensibile paura di perdere, quanto piuttosto per quella di vincere. Per quanto, purtroppo, non siamo in un sistema presidenziale, infatti, il nostro ibrido ha creato di fatto una aspettativa degli elettori nei confronti del capo del governo. Che fosse Berlusconi o Prodi, nel bene o nel male, diventare premier ha significato per 20 anni assumersi la responsabilità di fronte agli elettori, onori ed oneri, meriti e demeriti, come dovrebbe sempre essere in una democrazia in cui sono solo gli elettori a giudicare se sono stati bene o mal governati. 

A quanto pare, però, non c’è più nessuno disposto a rischiare in prima persona. Pochi mesi di un governo deresponsabilizzato, privo di legittimazione elettiva, e lorsignori preferiscono nascondersi dietro le presunte emergenze nazionali pur di non tornare alla democrazia, non farsi giudicare, continuare a sedere al centro comandi senza averne ricevuto la delega. Avevano detto che sarebbe stata solo una parentesi, che finita la buriana saremmo tornati ad eleggere i nostri governanti e, invece, si sono abituati presto alla comodità dell’oligarchia. E così ora ci propinano una finta elezione senza candidati, il cui risultato ritengono già scritto. 

Ma andrà davvero così? È probabile che, sì, l’astensione sarà per questo a livelli paurosi, è altrettanto probabile che inizialmente ci rassegneremo al Monti-bis, ma per quanto gli italiani potranno sopportare ancora questa assenza di responsabilità politica che ricade tutta sulle loro spalle? Perché quando si toglie al popolo lo strumento democratico per decidere come essere governato, prima o poi se lo riprende, con le buone o con le cattive.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:03