Il bisogno di sana e robusta Costituzione

La storia non perdona e prima o poi presenta il conto. E il senso profondo del momento storico che l’Italia sta vivendo è tutto in questo debito.

È come se, dopo averlo tenuto chiuso a forza per decenni, il vaso di Pandora fosse imploso lasciando fuoriuscire tutti i mali italiani, tutti insieme: corruzione, immoralità, criminalità, inettitudine, inefficienza, malagiustizia, malasanità, crisi economica. Nulla si salva e tutto contribuisce ad impedire che un paese già molto in bilico possa veramente risollevarsi.

Il posto d’onore, in questa graduatoria del male, spetta alla politica, ai partiti, ai rappresentanti delle istituzioni, a coloro che - nell’arco di vita del governo tecnico presieduto da Mario Monti - hanno saputo opporre alla sfiducia, alla disperazione e ai sacrifici degli italiani, scandali, festini, spese folli, facce da maiali, abiti da ancelle e triclini del degrado. Perché più di questo, della civiltà greco-romana, non sanno e non hanno mai capito.

È chiaro a tutti, ormai, che è stato di molto superato il limite della sopportazione, e che alla rabbia degli italiani manca solo un buon vettore per esplodere, ma a questo clima la politica risponde con una superbia e un’arroganza che lasciano esterrefatti. Perché? Forse perché sa che la libertà delle decisioni che prende, anche quelle più indecenti, è sancita, ebbene sì, dalla Costituzione. O, per meglio dire, dagli articoli relativi ai poteri e all’organizzazione dello Stato, che garantiscono ai parlamentari di potersi autodeterminare lo stipendio senza che un governo Monti qualsiasi possa intervenire; permettono alle regioni di costituire gruppi composti da un solo consigliere e di aumentarsi a dismisura i rimborsi elettorali senza che il governo possa impedirlo, e sono fonte diretta dell’ingovernabilità italiana e origine della sproporzione tra il potere partitocratico e quello elettorale, cioè tra la politica e i cittadini. Certo, nessuno di questi abusi di potere è stabilito dalla Costituzione, sono tutti figli di un uso della Carta magari diabolico, sì, ma pur sempre legale. Perché il problema è l’autoreferenzialità, la vaghezza e l’ampiezza dei margini d’azione riservati alla classe politica senza che il contrappeso del voto possa scalfire un sistema costruito non tanto sulle direttive costituzionali, quanto su ciò che la Costituzione non vieta.

È così che una classe dirigente esentata dal controllo popolare (il voto cambia maggioranze e alleanze, ma, potendosi rivolgere solo a queste per l’attuazione di riforme che limitino il loro stesso potere e la loro discrezionalità, non ottiene mai i cambiamenti sperati, nemmeno con l’arma dei referendum abrogativi, i cui risultati vengono sistematicamente ignorati o aggirati) ha approfittato degli ampi spazi di manovra riservatele da una Costituzione che rispecchiava le paure dell’autoritarismo fascista, e i reciproci pregiudizi della guerra fredda, per costruire una torre eburnea, intoccabile, di potere e privilegi. È per questo che, di fronte agli scandali che la colpisce, si giustifica sostenendo che la legge, purtroppo, lo consente; è per questo che ogni tentativo di riforma che incida profondamente nella vita pubblica viene bollato come un attacco alla Costituzione, al cuore della democrazia, ed è per questo che andare a votare tra cinque o sei mesi servirà solo a costituire l’ennesima accozzaglia governativa a breve termine, l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno.

Certo, qualcosa si muove. Ci sono fenomeni come Matteo Renzi o Fermare il declino, interessanti non solo per lo scombussolamento che intendono provocare nel quadro politico, ma anche e soprattutto per il tipo di istanze di cui si fanno portavoce. Riforme che vanno oltre gli schemi ideologici, tipiche di tutte le democrazie liberali occidentali, che in Italia non sono mai state portate a termine per tre ragioni: esasperazione del conflitto politico, scarsa determinazione, ingovernabilità. Un fallimento aggravato dalla cecità di chi si ostina a non vedere le proprie colpe e a non proporre soluzioni credibili. Nessuno che si alzi in piedi e abbia il coraggio di dire che l’unico voto utile, dopo Monti, sarebbe quello per eleggere una nuova assemblea costituente. Perché se il paese va cambiato profondamente, come sostengono tutti, non basta sperare che un nuovo esecutivo riesca laddove si è fallito per vent’anni; è necessario dotarlo degli strumenti necessari. La Costituzione, nella parte dei principi fondanti la repubblica, è un paradigma non soltanto da salvaguardare, ma anche da inverare. È straordinario come nessuno si scandalizzi per la frequenza con cui i suoi pronunciamenti siano disattesi, mentre ogni proposta di modifica è sentita come una attacco alla vita democratica del paese. Non è così. Un paese nazionalista e orgoglioso come la Francia ha cambiato la propria carta costituzionale cinque volte senza calpestare i principi di fondo che l’avevano ispirata.

Perché noi no? Perché non ora che il momento storico è favorevole? Potremmo ancora averla una Costituzione che salvaguardi il decentramento impedendo la costituzione di venti miniparlamenti con relativi poteri, sprechi e spartizioni; che superi il bicameralismo perfetto, che garantisca la governabilità, che ponga limiti alla fame dei partiti e della politica, all’autoreferenzialità, all’eccesso di discrezionalità politica e giudiziaria, che garantisca effettivi poteri di controllo agli organi che pure sono stati pensati per questo scopo, e che ristabilisca un equilibrio nel rapporto tra stato e cittadino. Potremmo. Ma prima, temo, dobbiamo trovare un modo civile e democratico per spazzare via l’attuale classe dirigente.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:06