Il Ppe non è la casa europea del Pdl

Che sia di plastica o sia alla frutta, non solo il Pdl è sempre stato considerato dannoso, inutile, o morente, ma la sua stessa idea, come quella dei suoi partiti fondatori, non è stata mai ammessa al tavolo buono dei poteri forti e buoni. 

Malgrado ciò, anche sotto la grandine della frantumazione e dello sbriciolamento, resta forte d’un 20%. Nel momento più basso del novembre 2011 era sceso anche più in basso. Sono le donne e gli uomini del Pdl medesimo ad affossarlo, spesso e volentieri. Poi le dichiarazioni europee e mondiali della Commissione, dell’Osce, del Fmi, intervenendo a favore dell’attuale governo Monti, lo fanno tornare a galla. 

Il Pdl è caricaturale nei suoi modi e comportamenti, ma non è, nell’attuazione di politiche antisociali, tanto cinico cecchino delle speranze popolari quanto il governo dei banchieri cattolici. Più che per risorgere, il Pdl, o quel che sarà, per formarsi deve cominciare rivedendo la sua posizione nel parlamento europeo. Come ha fatto il partito conservatore inglese in questa legislatura, che guida un gruppo da 54 eurodeputati, deve uscire dal Partito popolare europeo. 

Con 73 partiti di 39 paesi, il Ppe viene definito cristiano-democratico pur con un arco di forze che va dalla socialdemocrazia alla destra. Dal 1999, primo nell’europarlamento con 265 deputati, è maggioranza anche nell’eurogoverno. È un partito opaco, che sotto il sostegno all’Unione qualunque essa sia, difende burocrazia, tasse, un mercato unico libero solo per la finanza; un partito cristiano che non difende le fondazioni culturali cristiane. 

Un partito guidato dal blocco di quasi 80 deputati di area germanica che difendono l’idea tedesca di stare in Europa, mantenendo una propria autonomia, senza riconoscerla agli altri (42 tedeschi di Cdu e Csu; 19 ungheresi, 6 austriaci, 6 slovacchi, 2 cechi, 3 sloveni, 3 lettoni). Diventano una novantina, un terzo del partito, con gli 11 scandinavi (1 danese, 4 finlandesi, 5 svedesi ed un estone) che stanno positivamente a guardarli. Alleato, in nome della stabilità, è anche l’altro blocco, quello dei 29 francesi (Ump, centro e nuova sinistra), riferimento per i 28 del Po polacco, 14 del Pdl romeno, per 6 bulgari, 4 lituani, 6 belga e 5 olandesi, fluttua tra filo conservatorismo germanista e ottime sorti progressive della sinistra. L’intesa dei conservatori franco-tedeschi, che ha prodotto il governo antinazionale Monti, è stato finora un martello pneumatico per l’area meridionale e meno ricca del continente, quella dei Piigs che conta, nel Ppe, un blocco di 80 deputati. 

Gli italiani hanno una notevole forza nel Ppe e sono più numerosi dei tedeschi con 31 presenze (24 Pdl, 4 Udc e 3 Fli). L’elettorato ha consegnato una grande opportunità ai suoi eletti che l’hanno sprecata, andando uno contro l’altro. 

Tocca agli italiani, realizzare un dialogo con i 23 del Pp spagnolo, i 10 greci e ciprioti, i 4 irlandesi i 10 socialdemocratici portoghesi ed i 2 maltesi. Tocca al Pdl compattare gli 80 moderati sudeuropei che si sono dimenticati della provenienza territoriale e dei comuni problemi; hanno affrontato bilateralmente il confronto con i grandi istituti finanziari mondiali, politici e non, non hanno sviluppato o proposto politiche comuni su diritti del lavoro, emigrazione e mediterraneo. Si sono inchinati in ordine sparso da un lato al paese più forte del continente e dall’altro agli interessi finanziari asioamericani. 

Il programma dei conservatori Uk va dalla sussidiarietà al libero mercato in tutti suoi aspetti, dalla minore tassazione a minori burocraticismi, per non parlare dell’impalcatura europea sempre più barrocca. Coincide con quello del Pdl più del governo Pppe. 

Come partito italiano e del sudeuropa il Pdl non può che contrastare il presidente della Commissione Barroso ed il grigiore del Presidente Rompuy. Fintanto che è stato nei propri cenci e che l’establishment finanziario non ha ricattato il gruppo Mediaset, il Pdl si è opposto ai Fiscal Compact ed alla normalizzazione finanziaria, portata avanti dai due presidenti. Averle accettate, ha portato il partito berlusconiano in un cul de sac. In tre legislature, l’europarlamento ha condannato spesso politicamente il partito di maggioranza italiano senza che il Ppe alzasse mai un dito per difenderlo. Ci sono tutti i motivi per fare opposizione all’Europa elitaria antidemocratica e per uscire dal Ppe. Ci sono i motivi anche per smetterla con gli infingimenti ideali pretestuosi e bugiardi usati finora per vigliacca comodità. Al meeting Cl di Rimini o all’Atreju di Giorgia Meloni, ci si imbatte nel santino e nell’elogio di Alcide De Gasperi, di cui Berlusconi un tempo rivendicò l’eredità politica. Il riferimento era al De Gasperi della guerra fredda, alla cacciata del Pci dal governo. Mosse che fuono atti obbligati, spesso demandati al liberale Sforza che imboccò l’inevitabile atlantismo. 

L’anticomunismo di massa del ’48 fu opera dei parrocchiani di Luigi Gedda, sostenuto da Pio XII, scomunicatore dei comunisti e filodestra, cattolica e non. De Gasperi, neutralista, non cultore del’indipendenza nazionale formatosi nel mondo germanico, sviluppò un progetto difensivo europeo, tutto appoggiato agli Usa, con altri uomini di frontiera come il renano Adenauer ed il lorenese Schuman. 

Il mito della povertà di De Gasperi crolla quando Andreotti ricorda le ristrettezze materiali cui andò incontro durante il ventennio fascista, passato da bibliotecario in Vaticano. Condizione non malvagia, ma misera per l’ex dirigente dei popolari, già giovanissimo uomo di fiducia del vescovo imperiale e direttore del giornale cattolico trentino. Il boom economico non fu opera sua, come gli riconosce Morando dato che già nel ’53 da presidente Ceca, era fuori dalla politica interna. 

I Dc tedeschi con l’unificazione tedesca di Kohl ed i conservatori francesi con De Gaulle da decenni non sono più allo stato di prostrazione in cui agirono gli europei anticomunisti del dopoguerra. In Italia, questo status permane. Un cattolico filocomunista, membro di un governo di banchieri cattolici, mette il cappello su De Gasperi come fosse stato identico al suo rivale Dossetti che avrebbe voluto appoggiare nel dopoguerra l’Urss. Nel Pdl l’ampia componente cattolica non ha l’anima degasperiana, né quella dossettiana. Non è neutrale, è produttiva e patriottica, non è anticapitalista. La beatificazione di Alcide non procede. Il Pdl si convinca che De Gasperi non è uno dei suoi padri fondatori e che l’europeismo del Ppe non porterà mai ad una macroregione europea democratica.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:53