«Faccio più io con un’ora di televisione che voi in un anno coi vostri libri». Se è vera questa frase attribuita a Silvio Berlusconi, intento nel 2001 a liquidare un gruppo di intellettuali liberali venuti a chiedere spazio nel catalogo Mondadori, non è difficile comprendere quanta distanza ci fosse oggi tra il centrodestra e un accademico come Piero Melograni. La sua scomparsa, a 81 anni, proprio nei giorni in cui si fatica a trovare un’identità in quel che resta del Pdl, è un cattivo augurio.
Sono passati più di quindici anni dalla legislatura che vide Melograni rinverdire l’anima liberale e anticomunista di Forza Italia. Era il 1996 e Berlusconi aveva deciso di candidare alcuni studiosi a cui affidare il progetto della “Riforma liberale”: Lucio Colletti, Vittorio Mathieu, Giorgio Rebuffa, Marcello Pera e, appunto, Piero Melograni. Non un mantello nobile del berlusconismo ma una sorta di collegio di saggi. Ad ognuno venne promesso un collegio senatoriale, in cambio dell’impegno a dare alla neonata Forza Italia una cultura politica degna di questo nome. Da partito di plastica a partito di ideali e valori.
Curiosa fu la comune militanza giovanile di molti di loro nel Pci, a cui Melograni si iscrisse nel 1946. Per lui non si riassorbì la ferita delle violenze d’Ungheria e della denuncia dello stalinismo. Melograni si dedicò allora all’insegnamento per ben trent’anni. Dal 1971 diede sfogo ai suoi molteplici interessi di intellettuale vivace e curioso: sue furono opere su Machiavelli, la Grande Guerra, ma anche su Toscanini e Mozart. Di questi personaggi era solito raccontare vita e opere in modo semplice e divulgativo. Esattamente come rispondeva a qualunque cronista lo volesse disturbare a casa per un commento: con il consueto garbo e l’immensa cultura.
Per capire quanto fosse aperta e critica la sua mente, basta forse questa riflessione rilasciata durante la campagna elettorale del ‘96: «Girando per la provincia torinese scopro tante di quelle cose che non conoscevo(...). La politica non si capisce sulla base della sola lettura». L’esito dell’operazione ’96 si può cogliere in modo implicito proprio nelle parole di cordoglio di Berlusconi: «Piero Melograni ha contribuito con il suo ingresso in Parlamento nelle liste di Forza Italia al tentativo di modernizzare il nostro Paese secondo una limpida e vitale cultura liberale». Un tentativo fallito. «Non funziona», disse sconsolato Melograni sul finire di quella legislatura. «Il lavoro si riduce solo a estenuanti votazioni e quasi sempre noi deputati votiamo senza sapere su cosa».
Tanti giovani studenti con entusiasmo e speranza hanno “divorato” gli scritti di Melograni, magari sulle pagine di questo quotidiano o su quelle di periodici come Liberal, oltre che sui testi di storia contemporanea.
È davvero lontano il ’96. Quanto, se si pensa alle macerie attuali, con il centrodestra perso tra le ruberie dei vari Batman e le sfilate disinvolte di Nicole Minetti. Era un progetto, quello della prima Forza Italia, che piaceva ai giovani e agli italiani emergenti lontani dalle ideologie del Novecento che Melograni aveva conosciuto in gioventù e poi divulgato nell’ultimo quarto di secolo. La sua scomparsa, oggi, autorizza forse a guardare a quegli anni con un certo rimpianto e un velo di malinconia.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:43