Radicali: «Renata non poteva non sapere»

Non solo, sostengono i Radicali italiani del Lazio, la Polverini non poteva non sapere cosa combinasse il Consiglio regionale del Lazio, visto che ne facevano parte (uno di essi anche nel famigerato ufficio di presidenza cui Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo non potevano mettere piede e neppure conoscere il contenuto delle delibere e delle decisioni, neanche quando lo chiesero come accesso agli atti, ndr) i suoi tredici consiglieri. Ma da tempo il loro tentativo di trasparenza, di fare pubblicare on line per legge la cosiddetta anagrafe tributaria degli eletti e dei nominati, «veniva boicottata nelle maniere tipiche dei burocrati». E così, quando la legge era ormai pronta per andare in aula con un sostegno bipartisan, che serviva a farsi belli in tv quando si parla di casta e costi della politica, i due consiglieri Rossodivita e Berardo venivano avvisati proprio dagli uomini dell’ufficio di presidenza che la legge così come la volevano loro “non poteva andare”. E perché? Proprio per quei paletti sulla trasparenza dei finanziamenti ai gruppi consiliari in Regione. In pratica un vero e proprio veto sulla trasparenza relativa a quei soldi destinati ai gruppi che oggi tutti sanno come nella maggior parte dei casi venivano spesi.

Per ribadire tutto ciò ieri si è tenuta una conferenza stampa proprio nella sede storica del Partito radicale in via di Torre Argentina 76. Presenti, oltre al consigliere regionale Rocco Berardo, anche il segretario nazionale Mario Staderini, e i due leader storici Marco Pannella ed Emma Bonino. Berardo ha distribuito ai presenti anche il riassunto del verbale della seduta consiliare dello scorso fine giugno quando vennero respinti gli emendamenti radicali. Richiamando le rispettive dichiarazioni in aula. Disse all’epoca proprio Rossodivita che «...i consiglieri radicali si sono visti respingere tutti i loro emendamenti finalizzati a tagliare delle spese che sono sicuramente superflue, a tagliare in relazione a soggetti che non subiranno drammi, non subiranno tragedie, mentre invece le risorse risparmiate potrebbero andare a rifinanziare la legge sul reddito minimo garantito per disoccupati e precari».

Quindi, respinta l’abolizione delle tre commissioni consiliari speciali, respinta l’abolizione dei vitalizi agli assessori esterni della Giunta Polverini, e respinto il taglio delle autoblu. «Una banalità, un atto di un secondo», diceva accalorandosi  Rossodivita, «che avrebbe potuto cambiare la vita di migliaia di persone. Con i tagli alle consulenze fatte agli amici, con i tagli degli stipendi dei dirigenti regionali, poteva essere rifinanziato il reddito minimo garantito. Abbiamo proposto, e non si vede il perché debba essere diversamente, che i dirigenti regionali non potessero guadagnare più dell’80 per cento dello stipendio del presidente della Regione. Banale. Nessun dirigente regionale morirebbe di fame e qualche soldo potrebbe essere speso meglio».

E invece, all’epoca, dentro l’ufficio di presidenza furono tutti d’accordo, e poi in aula con il voto, a respingere gli emendamenti radicali. Pd, Idv e Lista Polverini compresi. Berardo in conferenza stampa (Rossodivita era assente perché stava a Milano a  difendere Marco Cappato, parte lesa in un processo per diffamazione contro Roberto Formigoni relativo alla vexata quaestio delle firme false per raccogliere le candidature alle regionali in Lombardia) ha spiegato anche che non ci si deve fermare, da parte della stampa e soprattutto della tv, che ha fatto approfondimenti nei talk show, veramente risibili e spesso orientati alla disonestà intellettuale facendo passare la Polverini «addirittura come vittima», al folklore di parlare dei pranzi con le ostriche o dei toga party con ancelle scosciate e uomini travestiti da maiali. «Ben più grave – ha detto – e credo che la procura di Roma vorrà vederci chiaro, è cosa si celasse dietro contratti di manutenzione da dieci milioni di euro l’anno, dal 2009 a oggi, per le palazzine della Regione alla Pisana. Ben più gravi i finanziamenti alla politica che venivano distribuiti ai singoli consiglieri perché potessero ricomprarsi la rielezione distribuendo mance a destra e a manca». Insomma un sistema satrapico feudale del quale conosciamo solo la punta dell’iceberg.

I radicali hanno anche “rispiegato”, per i duri di comprendonio interessati, quale sia stata la genesi dell’articolo di Sergio Rizzo sul “Corsera” dello scorso 20 agosto, reso possibile solo dal fatto che il gruppo consiliare della lista Bonino-Pannella fosse stato l’unico, e già dall’anno precedente, a pubblicare on line i soldi ricevuti e il loro relativo molto parziale utilizzo. Dato che nelle casse del gruppo (e non in quello dei singoli rappresentanti o non sia mai dello stesso partito radicale) ci sta ancora ben oltre la metà di quei 400 mila euro percepiti tra il 2011 e il 2012. Quando i due consiglieri radicali fecero l’operazione trasparenza nel 2011 non se ne occupò nessuno, sebbene avessero fatto notare la storia dei milioni spesi per la manutenzione delle palazzine alla Pisana che strideva a confronto con i 50 mila euro stanziati per la manutenzione di entrambe le carceri della capitale, Rebibbia e Regina Coeli. Ma tant’è. Sergio Rizzo si è svegliato un anno dopo e a quel punto la trasparenza radicale è venuta comoda. Salvo il fatto di riconoscerlo, visto che persino Gianantonio Stella quando è andato in tv, benché sia il giornalista a detenere con Rizzo il copyright sulla dizione “casta”, si è guardato bene dal citare nonché dal ringraziare Rocco Berardo e Giuseppe Rossodivita. Giustamente, come ha detto in sintesi, nell’intervento conclusivo della conferenza stampa Marco Pannella siamo ancora al regime che si sceglie i suoi antagonisti: ieri Bertinotti, poi Di Pietro, infine Grillo. E magari adesso pure la Polverini.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:05