
Mario Monti è «l’uomo giuto, al posto giusto, nel momento giusto». Non si è certo risparmiato il segretario generale dell’Ocse, José Ángel Gurría, nell’esprimere il proprio apprezzamento per l’operato del governo e, in particolare, per il presidente del Consiglio. Felicitazioni a tutti i ministri e al premier ha assicurato di poter «contare sull’Ocse per il lavoro da portare avanti». La conferenza di ieri, in cui è stato presentato un voluminoso studio sulle riforme strutturali in Italia, è stata l’occasione per una vera e propria celebrazione, piuttosto irrituale per la severa Ocse, delle politiche del governo Monti. «Negli ultimi due anni – ha riconosciuto Gurria – l’Italia ha fatto sforzi notevolissimi per accelerare il ritmo di riforme strutturali che da tempo dovevano essere poste in essere».
Riforme definite «coraggiose, ambiziose e di ampio respiro», capaci di produrre nei prossimi 10 anni una crescita del Pil di addirittura 4 punti percentuali. Nello studio, circa 50 pagine, vengono passati in rassegna diversi capitoli: produttività e competitività; sostenibilità fiscale; concorrenza e semplificazioni; peso della burocrazia; corruzione; innovazione e istruzione; mercato del lavoro; mobilità e coesione sociale. L’Ocse non rinuncia al suo ruolo di esaminatore e suggeritore di politiche pubbliche, ma questa volta non ha voluto nascondere di considerare l’Italia di Monti un best case, un caso di successo, tra i paesi europei, dell’azione riformatrice, ancor prima che i risultati si manifestassero in dati concreti. Certo, guai ad allontanarsi dalla strada intrapresa. Anzi, le riforme «devono essere pienamente attuate», «fino in fondo».
«Non si può tornare indietro, smontando le riforme compiute», ammonisce Gurria, «bisogna garantire continuità nei prossimi anni». Il migliore sponsor per un Monti-bis, insomma. Considerando i toni entusiastici, forse senza precedenti, e che siamo a pochi mesi dalle elezioni politiche, in un clima di massima incertezza, è sembrato di assistere ad un vero e proprio endorsement ad un Monti-bis da parte dei vertici dell’Ocse. E non è l’unica istituzione internazionale: qualcuno ha forse udito la Commissione Ue eccepire qualcosa sul netto peggioramento delle stime governative su deficit e Pil di quest’anno e del prossimo? Un endorsement che al professore non è dispiaciuto: «È troppo presto per abbandonare il rigore, va sempre mantenuto», ma il 2013 sarà «un anno in crescita», anche se «il motore dell’economia si riavvierà lentamente perché trattenuto dal peso del passato».
Il premier ha poi rivendicato a suo merito che «grazie all’azione di questi mesi l’Italia si è tolta dalla lista dei paesi che rappresentano un problema per la stabilità dell’area euro», osservando inoltre – un messaggio piuttosto chiaro ai partiti – che «gli italiani stanno dimostrando di non essere particolarmente ostili» nei confronti di coloro che hanno fatto le riforme: «Li abbiamo persuasi che sono nel loro interesse». Tra le riforme, l’Ocse invita a proseguire sulla strada delle liberalizzazioni. In questo campo importanti passi avanti vengono registrati anche dall’Istituto Bruno Leoni, nel suo annuale “indice delle liberalizzazioni”. La cura Monti, ma anche le amare medicine prescritte dall’Ue, hanno fatto bene al paziente, anche se è ancora troppo poco perché i miglioramenti si traducano in vantaggi effettivi per i consumatori e in un contributo sensibile alla crescita. L’indice misura il grado di liberalizzazione dell’economia considerando l’apertura alla concorrenza di sedici settori rispetto al paese europeo più “liberalizzato” in ciascuno di essi.
Complessivamente l’Italia è al 52%, dunque ancora non sufficiente, sebbene in miglioramento di tre punti rispetto allo scorso anno. Siamo più “liberalizzati” in dieci settori, mentre tre restano stabili e tre arretrano (tra cui il fisco), seppure in misura poco significativa. I miglioramenti più importanti si registrano nel settore autostradale (+12, dal 28 al 40%), grazie alla nascita dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali, che ha consentito di ridurre i conflitti di interesse; nelle professioni (dal 47 al 52%), grazie alla rimozione dei vincoli all’esercizio della professione in forma societaria; nel mercato elettrico e nelle poste (anch’essi +5). Anche nel 2012 il settore più liberalizzato risulta essere il mercato elettrico (77% rispetto al Regno Unito), seguito dai mercati finanziari (66% rispetto alla Svizzera) e dal trasporto aereo (65% rispetto all’Irlanda). I settori meno liberalizzati sono servizi idrici (19% rispetto al Regno Unito), ferrovie (36% rispetto alla Svezia) e autostrade (40% rispetto alla Spagna).
«Per la prima volta da quando misuriamo l’Indice nel 2007 – osserva Carlo Stagnaro, direttore ricerche dell’Ibl – quest’anno registriamo una tendenza coerente, anche se moderata, di quasi tutti i settori indagati alla maggiore apertura alla concorrenza». «In buona parte» il merito del miglioramento va attribuito alle riforme del governo Monti «che, per quanto timide, segnano una cesura rispetto al passato e mettono in moto un processo che, presumibilmente, l’anno prossimo porterà a ulteriori passi avanti», ma anche al recepimento di direttive europee, come nel caso dei servizi postali. Ma «la strada da percorrere – avverte Stagnaro – resta ancora molto lunga, perché nuove criticità s’intravvedono all’orizzonte, in particolare nel mercato elettrico dove la parte contendibile dell’offerta si sta restringendo a vista d’occhio a causa del boom della produzione sussidiata».
I forti conflitti di interesse, la mancanza di regolatori indipendenti (dov’è la promessa Autorità dei trasporti, istituita a gennaio?) e una rilevante presenza pubblica costituiscono ancora formidabili ostacoli alla concorrenza e alla crescita economica.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:01