Contro lo stato, per la nazione

Non solo Batman. Non si può parlare di ladri. Nell’assistere alla lenta agonia del Pdl, chi si è sempre collocato a destra, prova imbarazzo per l’allegra e spensierata superficialità con cui questa parte politica continua a gestire e promuovere le proprie idee e i propri valori. Assistiamo giornalmente, leggendo i giornali, allo stupro sistematico di concetti elementari. Quand’è che a destra si è persa la distinzione tra stato e nazione?

Il primo è un’organizzazione gestita dall’alto da una cricca di burocrati, la cui unica funzione - oggi - è quella di taglieggiare i governati, la nazione è una comunità di valori condivisi entro cui un individuo nasce e vive. Pensare e agire per il benessere della proprio paese significa agire per il benessere degli italiani, rendere una nazione più forte significa rendere più forti e liberi noi stessi. E non, al contrario, l’apparato statale che ci governa. Lo stato non è un’entità astratta, sovranaturale, non discutibile. È un gruppo definito di uomini e donne, a cui abbiamo regalato il potere di condizionare le nostre vite. Non solo: dei 3,5 milioni di persone - tanti sono i membri della pubblica amministrazione italiana - solo una parte infinitesimale, i politici, viene scelta da noi.

Di più: lo stato non produce ricchezza, ma consuma attraverso la tassazione la ricchezza dei propri cittadini e si mangia, attraverso il debito pubblico, il futuro della nostra nazione. Devo essermi distratto a lungo perché mi ritrovo circondato da persone che inneggiano alla produzione sterminata di leggi che regolano ogni atto della nostra vita, al benessere creato con la mano invisibile della pubblica amministrazione, alla funzione educativa dei servizi segreti, all’esistenza di uomini onniscienti - i burocrati - che conoscono e sanno come soddisfare i nostri bisogni e desideri. Nella moltitudine di sapienti dichiarazioni di destra e di puntali editoriali destrorsissimi si assiste alla solita orgia di affermazioni: «È colpa della politica» (molto in voga tra i giornalisti), «Non ci fanno governare», «È un problema di classe dirigente», «Vanno fatte nuove leggi», «È colpa della Germania» (new entry), «Quando andremo noi al governo» (ciclica)... Peccato si dimentichino di citare i ripetuti fallimenti - anche economici - dello stato in tutto ciò che gestisce: giustizia, scuola, sanità, trasporti, sicurezza, e così via.

La ricerca ossessiva di un colpevole è un indicatore del livello di insoddisfazione e di disgusto raggiunto dagli italiani. Ma, come spesso accade in Italia, la ricerca di giustizia sbaglia il bersaglio. Eppure con questo assassino conviviamo giornalmente. È colui che ci garantisce una scuola libera e plurale (tutte le dottrine comuniste sono citate), una sanità gratuita alla babbo natale e funzionante, energia a bassi costi, trasporti efficienti e non inquinanti, regole di comportamento alimentare, sessuale e di galateo e cosi via. In cambio ci chiede solo una piccola parte del nostro reddito, ma solo per motivi di solidarietà. Il grande pensatore francese Frédéric Bastiat scriveva: «Lo Stato è la grande finzione attraverso la quale ognuno cerca di vivere a spese di tutti gli altri (…) Che cosa dobbiamo pensare di un popolo nel caso in cui esso non sembri dubitare che il saccheggio reciproco non è per questo meno spoliatore per il fatto di essere reciproco, che non è meno criminale per il solo fatto che viene portato a compimento a norma di legge e in maniera ordinata, che esso non aggiunge nulla al pubblico benessere, che esso, al contrario, lo diminuisce dell’ammontare che costa mantenere questo intermediario dispendioso che chiamiamo lo stato?».

Mettere in discussione lo stato, per chi fa politica a destra, è non solo legittimo ma necessario per ridare forza a quel valore non negoziabile che è la propria nazione. Vi è poi la rituale incursione del sedicente liberista italiano che elogiando il mercato, suggerisce misure di intervento o su questioni di poco conto (i tassinari vanno molto di moda) oppure per favorire il trasferimento di ricchezza dal cittadino allo stato e da esso a monopoli privati, generalmente identificabili in gruppi privilegiati o lobby di potere. Nascono così ad esempio i mercati regolamentati (energie, edilizia...) o concessi per via divina (autostrade, trasporti...). Si scade persino nel ridicolo quando un ex ministro della non-rivoluzione liberale chiede un aiutino fiscale per i propri protetti maestri di sci. Nelle loro proposte e riforme omettono sempre di aggiungere la parola “libero”.

Il mercato o è libero o non è. Lo scambio o è libero o non è. La concorrenza o è libera o non è. Le multinazionali amano lo stato. Vogliono un mercato ben regolamentato dallo stato, dove sono tutelati dalla concorrenza interna e internazionale, dove sussidi e incentivi garantiscono ricchi profitti, dove esistono meccanismi di quote di produzione, dove la concessione di licenze impedisce la rottura degli oligopoli esistenti, e adorano il fatto che, quando sbagliano, lo stato si faccia avanti per socializzare le perdite. Si dovrebbe provare ribrezzo per questo capitalismo di stato ed i suoi capitalisti clientelari, e ridisegnare una nazione libera da sovrani e caste che ponga «l’azione autonoma di ogni individuo contro l’azione esclusiva del governo, la libertà individuale contro l’onnipotenza del governo» (Ludwig Von Mises).

Una nazione dove i singoli individui scelgano come vogliono cooperare all’interno della divisione sociale del lavoro, un paese in cui la proprietà del proprio lavoro ed i suoi frutti siano inviolabili, dove l’associazione degli uomini sia libera. Una nazione ricca di libere comunità politiche, economiche e religiose. Una nazione a destra, lontana dai colonelli.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:12