Giovedì sera, La7, Piazza Pulita. In collegamento l’economista liberista Lugi Zingales. Il conduttore lo chiama in causa per una domanda secca, subito dopo aver ascoltato la viva voce di Silvio Berlusconi che promette di eliminare l’odiata Imu. Il conduttore chiede: «Si può davvero eliminare l’Imu?». Zingales risponde, in sintesi: «Io vivo in America e pago tasse altissime sulla proprietà della casa. Lo ritengo giusto perché fruisco dei servizi della città. L’Italia paga una tassa inferiore a quella che pago io. Non si può tornare indietro».
Ecco, il discorso di Zingales non fa una piega. Anzi, è di assoluto buonsenso. Ma è una risposta a metà e come tutte le mezze verità rischia di trasmettere un messaggio sbagliato e di trasformarsi facilmente in menzogna.
Perché il problema per il singolo cittadino (ma anche per il sistema paese) non è quanto si paga sulla casa, o sulla rendita o sul lavoro. Il problema è la pressione fiscale generale alla quale il meschino è sottoposto. E di certo Zingales, pur avendo scelto uno degli stati americani con il livello di tassazione più alto, non può reggere il confronto con un collega che vive in Italia.
Ma andiamo con ordine. Può essere vero che in Italia si paghino meno tasse sulla casa di quante se ne pagano a Chicago, dove probabilmente Zingales risiede, visto che là insegna. L’aliquota nella contea di Cook arriva al 1.25% del valore catastale della casa. E siccome il catasto funziona e noi immaginiamo abbia una bella casa, la cifra pagata sarà di certo piuttosto alta. Ci fidiamo.
Ma come dicevamo prima, ammesso anche che le tasse sulla casa siano in Italia particolarmente basse, non è questo il punto del problema. Perché la tassazione generale, invece, è altissima.
Torniamo perciò all’esempio Zingales. Se il professore paga le sue tasse in Illinois, il suo reddito è sottoposto ad un’imposizione che per il 2011 ha raggiunto il suo record storico con un’aliquota del 31,9%. Meno di un terzo delle sue entrate, dunque, se ne va in tasse.
Se lavorasse in Italia, il suo bottino a fine anno, sarebbe invece decisamente più magro. Secondo un recente studio di Confcommercio, infatti, in Italia, chi è fedele al fisco sopporta una pressione fiscale effettiva pari al 55%.
Secondo l’analisi di Confcommercio, infatti, le condizioni delle finanze pubbliche italiane hanno costretto a ritoccare al rialzo l’imposizione fiscale, portandola dal 43% del 2007 al 45,2%. Tanto che oggi il nostro paese si posiziona al quinto posto su scala europea per pressione fiscale apparente (davanti a noi rimangono la Danimarca con 47,4%, la Francia 46,3%, la Svezia 45,8% e il Belgio 45,8%). La situazione però peggiora notevolmente se si esclude dal calcolo del Pil la quota di sommerso e si procede dunque a calcolare la pressione fiscale effettiva (ossia quella che deve sopportare chi realmente paga le tasse, senza prendere in considerazione gli evasori). Ebbene, in Italia, chi non evade sopporta una pressione fiscale pari al 55%, un dato senza eguali tanto in Europa, quanto nel resto del mondo. Dietro lo stivale, ma ben distanziati, si piazzano il Belgio (48%) e la Svezia (46-47%).
Basta scorrere questi numeri per capire quanto la mezza verità di Zingales («In America si paga di più sulla casa») sia fuorviante quasi quanto una bugia. Fa sembrare Berlusconi un imbecille e fa sentire noi quasi in colpa. Invece no. Gli italiani non sono in grado di sopportare questo livello di tassazione. Si può discutere della ricetta da attuare: eliminare l’Imu o tagliare tutte le altre tasse. Ma dire che va bene così non è da Zingales, né da liberista. E neppure da firmatario del manifesto “Fermare il declino”. O forse sì? Perché pur di dare addosso a Berlusconi, tutto vale. Anche le mezze bugie.
Quanto a bugie e mezze verità, anche sull’Imu e sulle tasse sulla casa in Italia sono spesso state raccontate cose inesatte. Almeno secondo i calcoli fatti da più di un esperto. Su il Giornale dell’11 maggio, Francesco Forte, in riferimento a dichiarazioni rese alla Camera il 9 maggio dal Viceministro Grilli, ha scritto: «Non è vero che l’Italia prima del passaggio dall’Ici all’Imu in versione Monti-Pd, avesse una tassazione patrimoniale degli immobili “troppo bassa” rispetto alla media dei Paesi industriali: nel 2010 la pressione era al 2,4% del Pil contro la media Ocse dell’1,9%. Grilli dice che il 2010 è falsato da imposte straordinarie. Ma anche nel 2009 la tassazione patrimoniale era al 2,7% del Pil e negli anni precedenti al 2% (Ocse 1,9%). La Germania ha una pressione patrimoniale solo dello 0,8-0,9% e non tassa il reddito presunto della prima e seconda (o terza) casa. Francia e Usa alzano la media Ocse, con una pressione maggiore al 3% perché colpiscono anche i patrimoni non immobiliari con un tributo generale sulle proprietà».
Dopo l’articolo di Forte, sono stati diffusi nuovi dati sulla tassazione degli immobili, questa volta da parte di Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea (dati che il Diparti-mento delle finanze ha pubblicato sul proprio sito Internet). Sul sito di Confedilizia si legge: «Nel rapporto 2012 sulla tassa-zione nell’Unione europea (“Taxation trends in European Union”) viene riportata una specifica tabella sulla tassazione immobiliare “ricorrente” (che esclude, quindi, i tributi sui trasferimenti), espressa in percentuale del Pil: “Recurrent taxes on immovable property” (tributi ricorrenti sulla proprietà immobi-liare). In questa tabella (che va dal 1995 al 2010), nel 2010 l’Italia ha un dato dello 0,6% mentre la media dei Paesi Ue è dello 0,7% e la media dei Paesi dell’euro è dello 0,6%».
«Secondo Eurostat – spiega il presidente di Confedilizia Corrado Sforza Fogliani – quindi il nostro Paese aveva – prima dell’insediamento del governo Monti – un livello di tassazione sugli immobili in linea con gli altri Paesi europei. Insomma, l’esatto opposto di quel che s’è detto, e che la classe politica crede».
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:12