L'unica certezza è la disoccupazione

«Un po’ fuori posto», così Alberto Bombassei (presidente di Brembo) stronca l’intervento di Diego Della Valle sulla Fiat. Quindi Bombassei aggiunge: «Se parla di scarpe è meglio - e precisa - non c’è solo Fiat...». Il messaggio del presidente di Brembo è chiaro e invita a non fossilizzare il problema occupazionale su Fiat ed indotto, quindi a non guardare ai 50mila posti di lavoro in meno, ma ad andare oltre per ammettere che la crisi del manifatturiero italiano interessa migliaia di aziende in fuga dall’Italia e milioni di italiani che probabilmente saluteranno da disoccupati il 2013. E conta davvero poco che il prezzo in disoccupazione lo chieda l’Europa o faccia comodo a un certo numero di italiani.

Non c’è nessun colpevole da mettere sul banco degli imputati, né la politica di un paese industrializzato può essere condizionata dal pietismo verso chi deve essere messo fuori dal circuito produttivo. Il dato oggettivo è che i disoccupati in Italia devono (bene che vada) crescere di circa 1,5 milioni di unità rispetto al 2011: è la stima contenuta nel rapporto del Cnel sul mercato del lavoro secondo il quale «senza una svolta sul versante della produttività, potrebbero prevalere pressioni deflazionistiche sui salari e sui redditi interni, assecondate da politiche fiscali di segno restrittivo».

All’incremento della partecipazione al mercato del lavoro (111.000 forze di lavoro femminili e 202.000 nuovi immigrati attivi), al probabile effetto delle perdite di reddito familiare e del conseguente fenomeno del “lavoratore aggiuntivo”, fa eco per il Cnel il progressivo aumento del tasso di disoccupazione, cominciato dagli ultimi mesi del 2011: «Si calcola che tra il 2011 e il 2020 il numero dei disoccupati supererà 1,5 milioni (c’è chi ipotizza oltre 2 milioni) di persone per la popolazione d’età compresa tra 15 e 66 anni con una forte riduzione dei giovani attivi italiani (oltre 515.000 persone) e degli adulti fino a 54 anni, compensata dall’aumento della forza lavoro immigrata (oltre 1,3 milioni di persone) e soprattutto delle forze lavoro anziane». È ovvio che l’impennata del fenomeno disoccupazionale si avrà tutta nell’autunno del 2012 e nel 2013.

«In 50 anni - segnala il Cnel - la percentuale di anziani passerebbe dal 15,3% al 26,8% della popolazione, determinando una riduzione del peso delle altre classi d’età con importanti effetti sui rapporti intergenerazionali. Coloro che più hanno subito le conseguenze della crisi sono i giovani. Tra i più colpiti, quelli con un titolo di studio basso (-24,8% tra chi ha solo la licenza media); i residenti nelle regioni meridionali (-19,6%); i lavoratori a tempo indeterminato (-19,3%) e quelli a tempo pieno (-17,9%)». La ricetta, secondo autorevoli esperti, è l’emigrazione massiva di italiani di tutte le età (non solo giovani) verso i paesi extracomunitari, come Australia ed Oceania, o anche solo nel nord Europa. La cura è muoversi, vincere il torpore della crisi emigrando a migliaia di chilometri dal luogo d’origine, da quello dove si è perso l’ultimo lavoro.

A dirci che la disoccupazione è l’unica certezza in Italia sono flussi migratori in diminuzione. Calano gli immigrati di tipo permanente verso l’Italia, si triplicano solo le richieste di asilo politico e aumenta il tasso di “neet”, ossia di giovani immigrati che non hanno un lavoro, né studiano, né sono in formazione: sono alcuni degli aspetti rilevanti che emergono dal rapporto Ocse 2012 sulle tendenze delle migrazioni internazionali. Il rapporto è stato presentato nel giugno scorso a Bruxelles e discusso ieri a Roma nell’ambito di un convegno al Cnel.

L’Italia è al terzo posto tra i paesi dell’Ocse in termini di flusso in entrata: -10% tra il 2009 ed il 2010 e -38% tra il 2007 e il 2010, ben al di sopra della media Ocse. Proseguono anche nel 2010, con un calo del 4% rispetto al 2009 le migrazioni temporanee di lavoratori. In crescita anche il numero di cittadini italiani che emigrano verso altri paesi dell’Ocse: circa 78 mila (+6%). Aumenta però anche il numero di studenti internazionali nel nostro paese. Più che replicate le richieste di asilo politico rispetto al 2010: l’andamento del fenomeno ha portato l’Italia dal tredicesimo posto nel 2009 al settimo posto nella classifica dei paesi Ocse del 2011.

Dal rapporto emerge anche che gli immigrati sono più colpiti rispetto agli italiani dalla crisi economica, soprattutto in termini di disoccupazione temporanea, mentre il tasso dei disoccupati a lungo termine è simile a quello dei lavoratori italiani. Tre immigrati su cinque hanno trovato lavoro in un settore emergente, più che negli altri paesi Ocse. Inoltre, gli stranieri hanno rappresentato il 28% dell’aumento della forza lavoro italiana nell’ultimo decennio. Tuttavia, sottolinea il rapporto, «diventa sempre più preoccupante la situazione occupazionale dei giovani immigrati, in generale meno qualificati di quelli italiani che entrano nell’età lavorativa. Il tasso di neet è del 30%, circa il 50% superiore al tasso tra gli italiani e al disopra del livello nella maggior parte dei paesi dell’Ocse, tranne la Spagna e la Grecia». Il belpaese non fa più gola agli extracomunitari, che grazie ad internet preferisco migrare in Australia, e lo fanno prima di noi italiani.

La grande crisi è anche entrata nel radar della Benetton, famosa per le sue campagne pubblicitarie a forte impatto. «Rispetto agli anni passati il tema può sembrare meno scioccante, soprattutto dal punto di vista dell’immagine - ha commentato Alessandro Benetton - in realtà, se si fa attenzione al messaggio, lo è ancor di più». Tutta la campagna si basa infatti sul problema della disoccupazione giovanile nel mondo. Stando ai numeri presentati a Londra, si tratta di oltre 100 milioni di persone nella fascia compresa tra i 15 e i 29 anni. Ragazzi che, visto le dure condizioni economiche, subiscono oltre al danno la beffa: non solo sono disoccupati, ma anche oggetto di pregiudizi. L’adagio tipico: «Se non trovano lavoro è colpa loro, sono degli scansafatiche». Una discriminazione in piena regola che rientra nel mandato della “Unhate Foundation” (fondazione per il dialogo sostenuta da Benetton).

«Non possiamo cambiare il mondo, noi facciamo vestiti - fa notare  Benetton - però possiamo usare la nostra voce per evidenziare il tema. Non troveremo soluzioni a questa crisi se non intavoleremo un dialogo con le nuove generazioni». Ma proprio le nuove generazioni ormai dribblano il dialogo, e lavorano precariamente in nero per acquistare un biglietto aereo per l’Australia: tra Milano e Torino si è registrata l’impennata di giovani che hanno acquistato voli non di piacere per paesi tanto lontani. Lasciano i convegni sul tema a padri e nonni e scelgono il lavoro libero ben pagato. Lontano da casa.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:14