Il divide digitale e politico italiano

Avete mai preso in considerazione l’idea che il digital divide, “divario digitale” nella traduzione italiana, possa riguardare non insiemi di persone ma il singolo individuo? Questo presumibilmente perché il digital divide, sia esso strutturale, sociale, culturale, tecnologico, parlamentare o generazionale viene solitamente affrontato da ricercatori, esperti e studiosi ragionando su molti, raramente su uno. Il ragionamento poteva andar bene nella fase iniziale della vita della Rete, quando il divide era pervasivo in tutte le sue forme sulla stragrande maggioranza dei territori e delle popolazioni. Ma oggi, dove non poche sono le aree “all digital”, “near all” o “almost all”, per i cittadini esclusi dall’accesso alla Rete il divide è sempre più una questione personale.

Mi sono trovato a pensare al divide come problema individuale all’aeroporto di Roma. Vagavo inutilmente alla ricerca spasmodica di una presa di corrente per ricaricare lo smartphone, inseguito dallo sguardo divertito di mia moglie che attendeva la partenza del volo leggendo un obsoleto libro di carta. Mi sentivo frustrato, la mia vecchia ma ancora valida porta di accesso con il mondo, già ridotta a lettore mp3 dalla mancanza di “campo”, stava per diventare un inutile pezzo di plastica informe. Mi sono sentito... handicappato. Capisco perfettamente che per un diversamente abile mettere la mancanza di acceso alla Rete allo stesso livello di un handicap fisico possa sembrare una provocazione, se non addirittura un insulto, ma un handicap è un handicap, sia esso lieve o pesante. Soprattutto è handicap quando a te manca qualcosa che altri hanno.

Il device che consente l’accesso alla Rete è per me una protesi non troppo diversa dagli occhiali senza i quali non posso vivere. La mia vita è ormai strettamente connessa alla Rete, una parte della mia bocca, dei miei occhi, delle mie orecchie, dei miei pensieri, persino l’articolo che state leggendo, risiedono in doppio cloud all’interno di un alveare cybernetico non meglio definito. Sono connesso, quindi esisto. Ogni volta che la mia “protesi” digitale smette di funzionare, il mio disagio non è dissimile da quello causato dal temporaneo smarrimento di quegli occhiali che mi consentono di superare il mio piccolo handicap fisico. Divide, qualcosa ti “divide” dal raggiungimento del tuo obiettivo, quindi che sia vedere, camminare o essere connesso, quando questo non è possibile avverti il disagio della situazione. Percepire il divide come handicap ovviamente è differente dal percepirlo come “ingiustizia sociale”, poiché cambia la tua visione del mondo e il superarlo diventa la tua priorità, tutto il resto sono chiacchiere inutili.

A volte non serve neanche essere realmente disabili per comprenderlo, è sufficiente la nascita di un figlio. Come il vostro “piezz ‘e core” esce dall’amorevole grembo materno ed entra in una carrozzina, il mondo improvvisamente muta. Quelle che fino a ieri erano strade si trasformano in percorsi di guerra: sconnesse, piene di buche, senza vie di accesso agli incroci, con le auto posteggiate sul marciapiede a impedire il passaggio. Allo stesso modo le scale diventano viae crucis, gli ascensori troppo stretti, e via discorrendo.

Improvvisamente, della politica propinata dai media, quella dell’alleanza forte, della governabilità, del sistema elettorale, delle diatribe tra Casini, Fini, Monti, Bersani, Berlusconi, Grillo, non te ne può importar di meno. Tu vuoi solo che qualcuno metta a posto questo accidenti di marciapiede (non tutti, solo quello dove passo io), faccia una multa “da paura” al suv cafonal (non tutti, solo quello che mi intralcia); soprattutto mi allarghi le porte di questo dannato ascensore che se fossi disabile sarei segregato a vita in casa e comunque ora mi tocca portarmi la carrozzina a piedi e sono cinque piani.

È nel pieno della tua frustrazione, più o meno al quarto piano, che ti rendi conto di come la politica, tragicamente allpartisan, non sia in grado di rispondere in modo soddisfacente alle tue esigenze, offrendo solo soluzioni parziali e inadeguate. Per il resto, se vuoi vivere la vita come gli altri ti devi arrangiare.

Arrangiati! Parola maledetta fin troppo conosciuta da quella fascia della popolazione “diversamente benestante”: ti sei fatto la casa “a soli 15(0) minuti dal centro” ma il mezzo pubblico è un essere mitologico che si manifesta a fasi lunari alterne? Arrangiati con l’auto, ti abbiamo anche realizzato l’ingresso in tangenziale. C’è il pedaggio ma no, non è una tassa sul lavoro. La badante per il genitore invalido costa 1380 euro al mese ma l’accompagno è di soli 400 euro e la pensione 700? Arrangiati e metti tu la differenza.

Non arrivi alla fine del mese? Arrangiati e fatti aiutare dai genitori. Ah, i genitori sono quelli della badante? E mica possiamo arrivare dappertutto. Arrangiati come puoi.

Arrangiati! E qui inevitabilmente entra in scena il divide più odioso, quello economico, il più difficile da colmare, l’unico in questi casi a fare la differenza. Divide e handicap hanno infatti la fastidiosa caratteristica di sommarsi in funzione del ceto economico o sociale. Il disabile ricco che abita in un bel palazzo del centro dotato di tutte le infrastrutture idonee, con vettura adeguatamente attrezzata e un assistente dedicato, vivrà sicuramente meglio del disabile povero al quinto piano di uno stabile all’estrema periferia, senza ascensore, assistente, auto “che poi a cosa serve se non puoi scendere”. È inutile specificare quale dei due abbia più necessità di una connessione alla Rete stabile e sicura, così come non è difficile indovinare dei due chi possiede una connessione in fibra ottica e chi sta ancora aspettando che gli portino l’Adsl nel quartiere.

«Siamo un paese pieno di handicappati digitali». Detto così è fastidioso vero? Suona decisamente meglio «Siamo un paese a elevato digital divide» o «diversamente connessi», terminologie che non risolvono il problema ma sono politically correct. Anche perché la risoluzione del problema alla fine è tutta una questione di volontà, poiché per chi vuole veramente connettersi «oggi non c’è più digital divide strutturale, con le connessioni satellitari chiunque si può connettere alla Rete, anche nelle zone più inaccessibili». In attesa del Wi-Max attualmente dato per disperso, dell’Lte il cui successo paradossalmente è legato al progressivo arretramento della Tv digitale terrestre, ognuno insomma si arrangi come può.

Un consiglio? Se siete sensibili all’argomento evitate di andare all’estero: «Fichissima la Tunisia, a Djerba il wifi è gratis dappertutto!». «Fantastica la Grecia, a 5 euro ti danno ombrellone, due sdraio e wifi» sono solo alcuni dei tanti tweet che cinguettavano lo stupore degli italiani in vacanza. Meno felici certamente gli stranieri in Italia, oggi facilmente individuabili perché con l’iPad in aria sono alla perenne e vana ricerca di hot-spot gratuiti che il nostro paese, per legge, non può offrire.

Invece che di «aree a fallimento di mercato» sarebbe ora di cominciare a parlare di «aree a fallimento dello Stato». Il nostro primo divide, probabilmente, è quello politico.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:03