Galan: «Rivoluzione liberale 2.0»

Istituzioni, fisco, lavoro, autonomie e giustizia. Queste le cinque grandi riforme sulle quali il direttore de l’Opinione, Arturo Diaconale, chiederà un impegno ad Antonio Martino, Enrico Morando, Guido Crosetto e Franco Debenedetti. Sabato prossimo ad Assergi – provincia de L’Aquila – ci sarà anche Giancarlo Galan, il barricadero ex-governatore del Veneto che appena un paio di mesi fa aveva in animo di sfidare Angelino Alfano alle primarie del Pdl. Non è un caso che il suo sistema elettorale preferito sia quello che prevede collegi uninominali: «Ho un sogno, quello di realizzare in Italia un modello che ricalchi quello anglosassone».

Lo sa che probabilmente resterà solo un sogno?
Certo, ma in tutto questo chiacchierare di legge elettorale ci si deve rendere conto che per una volta si dovrebbe costruire qualcosa di utile per il paese, e non all’interesse dei singoli partiti. Mi sembra però che la legge elettorale che stanno preparando sia peggiore di quella attualmente in vigore.

Perché il sistema all’inglese?
Si presta a meno porcherie di quelli che abbiamo sperimentato fino ad oggi in Italia. Anche se non esiste una legge perfetta.

Dipende molto anche dall’architettura dello stato?
Se quella elettorale è la riforma più urgente, quella per cambiare l’architettura istituzionale è la più importante. Serve ridisegnare un paese che consenta di governare a chi vince le elezioni, perché oggi non si riesce a farlo. Se vogliamo ricercare un motivo storico, è che la nostra Costituzione è stata elaborata dopo anni di dittatura, e ha distribuito eccessivamente il potere di decisione, volendo evitare che si potesse ripetere l’avvento di un uomo solo al comando.

Pensa ad un sistema presidenziale?
Mi sembra buono. E può avere diverse sfumature. Basti pensare che è adottato in forme diverse in paesi con diversa storia e tradizione politica. Sto pensando agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, ma anche alla Germania.

Il progetto presentato dal Pdl al Senato…
Sarebbe un progresso notevole.

Dopo l’approvazione in prima lettura, a suo avviso concluderà l’iter?
La vedo dura. Temo che non si realizzerà mai.

Berlusconi e Alfano hanno molto insistito su quel tema. Invece molti gli rimproverano di aver fatto poco contro l’inasprimento della pressione fiscale.
Posso dire una cosa in controtendenza con il mio partito?

Certamente.
Prima di protestare contro le troppe tasse, bisognerebbe agire sull’evasione e sull’erosione fiscale. Nel tempo si è affastellato un enorme sistema di privilegi, che interessa cooperative, onlus e anche la Chiesa cattolica. Se dal totale delle entrate sulle imposte che gravano sulle persone fisiche escludi i lavoratori dipendenti, si scopre che le tasse non le paga nessuno. Lo stato dovrebbe introdurre un’unica aliquota al 21%, e ne guadagneremmo tutti. Detto questo, la pressione fiscale ha raggiunto livelli ignobili.

Ha ragione Susanna Camusso quando dice che i lavoratori dipendenti sono tartassati?
Il problema è che l’Italia soffre di un tasso di liberalismo bassissimo. L’articolo 18, per esempio: ne hanno fatto un feticcio, roba d’altri tempi. La riforma del mercato del lavoro è una cosa seria e da fare in fretta, mentre la leader della Cgil parla ancora di lotta di classe…

Qualcuno accusa gli Enti locali di essere i responsabili dell’alta tassazione.
Non pensa che fra municipi, comuni, province, città metropolitane, regioni, stato nazionale ed Europa ci sia qualcosa di troppo? Iniziamo ad abolire le province, per iniziare. Anche determinate regioni che insistono su territori che vedono la presenza di grandi agglomerati urbani sono ridondanti. Poi si faccia una legge che proibisca agli Enti locali di detenere azioni di qualunque tipo di società. È ora di finirla con gli scandali delle aziende municipalizzate.

C’è chi, nel suo partito, propone addirittura l’introduzione di macro-regioni.
Sono fregnacce. Perdiamo migliaia di posti di lavoro, figuriamoci se possiamo permetterci di perdere tempo con questioni come le macro-regioni. Sono battaglie inutili. Forse avrebbe più senso insistere sul Senato federale. È vero che se ne parla da vent’anni, ma sarei disposto a rimboccarmi di nuovo le maniche.

Siete stati al governo per molti anni. Perché non avete proceduto più speditamente su questi temi?
Il problema è che in Italia i liberali sono stati sempre in un angolo, e per lo più divisi. Quando è sembrato si potesse fare finalmente una vera e propria rivoluzione, abbiamo perso clamorosamente l’occasione. Questo ci rimarrà per sempre addosso come una colpa.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:35