
«Entro la prima decade di ottobre la legge elettorale sarà in aula». Tuona forte Angelino Alfano dal palco di Atreju, la festa dei giovani del Pdl. Per lui, la legge elettorale s’ha da fare e in tempi abbastanza rapidi. Anche «Schifani si sta impegnando» a questo fine. D’altronde, spiega il segretario Pdl, «speriamo che ci sia l’accordo più vasto possibile, ma se non ci sarà, occorrerà comunque votare per una legge. Questa è la nostra linea di demarcazione».
Da via dell’Umiltà arriva la scossa alle aule parlamentari: Alfano non vuole fare la figura di quello che se ne sta con le mani in mano, e con lui tutto il Pdl. Non sarà di certo il partito di Berlusconi a favorire lo status quo e l’immobilismo. Lega e Udc sono avvertiti: in Senato fanno maggioranza col Pdl e allora mettere sotto il Pd. Alfano è anche più specifico, sempre dal palco di Atreju: «Siamo per una legge che abbia un fondamento su una questione di fondo e cioè che il potere di scelta debba tornare in mano a ogni singolo cittadino», prosegue il segretario pidiellino, «perciò occorrono le preferenze, l’unico strumento per far venire fuori il consenso individuale sul territorio, per far emergere chi dal basso ha una spinta popolare». L’unico problema è che, anche dentro al partito di Berlusconi, non tutti la pensino così.
Soltanto venerdì scorso, al Convegno annuale della Società Italiana di Scienza Politica, Denis Verdini non sembrava tanto d’accordo. Riavvolgiamo il nastro a qualche giorno fa: stuzzicato durante la tavola rotonda da Bocchino, che elargiva il proprio consenso alle preferenze, Verdini rispondeva che «i collegi non sono una cosa della tradizione politica italiana», chiudendo pertanto anche alle preferenze e dimostrando di essere favorevole ancora all’attuale Porcellum. L’unico modo per passare alle preferenze, secondo Verdini, è il doppio turno alla francese dentro un sistema completamente presidenziale: «Il sistema francese o ci piace tutto oppure niente», sosteneva durante la tavola rotonda. Insomma, nel Pdl c’è ancora qualche problema di comunicazione. Problemi di comunicazione che però sono da estendersi anche nei rapporti tra partiti: Fli, con Bocchino, sostiene che fino alle elezioni siciliane «non si toccherà nulla» e che poi ci sarebbero pochissimi giorni per fare la legge elettorale «entro la Befana, quando toccherà sciogliere le Camere». Per inciso, le elezioni in Sicilia sono il 28 ottobre, ben oltre quella prima decade del prossimo mese individuata da Alfano per avere la legge in aula. Piccolo inciso: Bocchino, parlando a favore delle preferenze, ha detto «estendiamo le preferenze a tutto il sistema. Se io non sono tanto abile da vincere grazie ad esse, il 18 marzo mi trovo un lavoro da qualche altra parte fuori dal Parlamento».
Che il deputato futurista si sia lasciato sfuggire l’unica cosa su cui sono d’accordo i partiti, cioè la data delle elezioni? La chiusura invece è tutta dedicata al Pd. Il partito di Sant’Andrea delle Fratte appare abbastanza immobile sulla legge elettorale. Violante ha parlato recentemente, dimostrando l’empasse interna: nessuna dichiarazione precisa, nessun obiettivo definito, solo un generico «abbiamo un unico obiettivo: la governabilità». Sulle preferenze poi il senatore democratico aggiunge: «Sono un errore, favoriscono solo coloro i quali sono già forti o hanno le risorse per pagarsi la campagna elettorale. È un meccanismo che desolidarizza i partiti dall’interno». I partiti presenti in Parlamento viaggiano su binari paralleli spesso anche lontani e, come accade nel Pdl e forse ancor più nel Pd i binari diventano un groviglio di incidenti e piccole scaramucce, tanto da portare gli esponenti a non dire nulla, vedi Violante.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:32