Taradash: «Riformare le istituzioni»

Da qui a una settimana, L’Opinione riunirà alcuni esponenti del mondo della politica che condividono un approccio liberale sulla necessità di riformare, a prescindere dagli interessi particolari dei grandi partiti, cinque grandi settori del paese: le istituzioni, il fisco, il mercato del lavoro, gli Enti locali e il funzionamento della giustizia. “L’Agenda Italia” verrà discussa la mattina di sabato prossimo all’hotel Fiordigli di Fonte Cerreto di Assergi, in provincia de L’Aquila, da Antonio Martino, Giancarlo Galan, Enrico Morando, Giuseppe Moles, Nicola Rossi, Deborah Bergamini, Franco Debenedetti, Guido Crosetto e Roberto Cassinelli. Insieme a loro Marco Taradash, esponente radicale di lungo corso, oggi consigliere regionale del Pdl toscano. «Il problema principale del nostro paese concerne proprio le riforme, che consentano un cambiamento dell’etica pubblica» spiega Taradash. Che ritiene «si dovrebbe partire da una riforma del sistema dei partiti, che oggi vivono alle spalle dello stato, diventando gioco forza lottizzatori e generatori di clientele».

In che modo attuarla?
Introducendo le primarie per legge, ravvivando in questo modo il rapporto con gli elettori e il controllo che questi ultimi avrebbero sulla selezione della classe dirigente.

Ma se andiamo verso un sistema elettorale proporzionale…
Questo è un altro problema. A mio avviso il miglior sistema istituzionale adottabile sarebbe il semi-presidenzialismo alla francese, conferendo maggiori poteri formali e sostanziali al presidente della Repubblica. Ragionando in quest’ottica, va da sé che il sistema elettorale dovrebbe essere improntato su collegi uninominali, magari adottando il doppio turno. In questo modo, con le primarie, passeremmo da partiti fondati sulle oligarchie a raggruppamenti che devono necessariamente partire dagli elettori.

Una riforma radicale.
Dirò di più. Anche il sistema bicamerale va abolito, introducendo finalmente un Senato composto da rappresentanti degli Enti locali, come si è tanto discusso nei mesi passati.

Il famoso Senato delle Regioni?
Vado oltre. Le Regioni, così come sono strutturate, sono troppo piccole per essere validi interlocutori di fronte allo stato e troppo grandi per venire percepite vicine ai cittadini. Recupererei il modello delle macro-regioni discusso all’inizio degli anni ’90, dimezzando contestualmente il numero delle province.

Proprio gli Enti locali sono i primi indiziati quando si parla di eccessiva pressione fiscale.
Quello del fisco è un altro grande comparto che necessita una revisione. Bisogna necessariamente abbassare le tasse, a cominciare dalle imprese. Non è possibile che l’Irap imponga tasse crescenti a coloro che offrono più lavoro. Il principio dovrebbe essere esattamente il contrario. Senza dimenticare che la pressione fiscale complessiva per chi produce è arrivata a toccare il 68%. Anche quella sui redditi andrebbe alleggerita.

Rimprovera il governo di averla inasprita eccessivamente?
Lo rimprovero, ma con giudizio. Non bisogna scordarsi che è stato un governo emergenziale, ha agito in tempi e condizioni che gli sono state imposte. Non mi metterei a polemizzare con Monti, che deve arrivare alla fine del suo mandato facendo del suo meglio. Dopo la politica si riappropri del suo ruolo e ricominci da dove il premier si sarà fermato.

La sua riforma del lavoro, però, non sembra molto incisiva. Eppure negli scorsi giorni è stata nuovamente attaccata dalla leader della Cgil, Susanna Camusso.
Non capisco le critiche perché non vedo la riforma. Sicuramente l’esecutivo ha fornito indicazioni utili per proseguire un lavoro appena iniziato. Bisogna cambiare la mentalità, passare dalla logica volta a difendere il posto di lavoro a quella che punta a crearne di nuovi. I sindacati non possono continuare a difendere per sempre il proprio ruolo. Ma anche gli imprenditori devono rinunciare ad alcuni sussidi da parte dello stato. A patto che quest’ultimo fornisca servizi competitivi, e penso a settori come l’energia, le poste, le comunicazioni.

Per quanto riguarda la giustizia?
È una vecchia battaglia. Ma è già tutto scritto nella proposta di riforma che avanzò Angelino Alfano quando era ministro della Giustizia, prima di passare malauguratamente a fare altro.

Vale a dire?
Separazione delle carriere di magistrati e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura per renderlo indipendente dalle correnti e dai magistrati, introdurre la responsabilità civile per i magistrati.

Ha detto niente…
Ma è quello che va fatto per rendere funzionante il comparto giustizia italiano. Niente di meno.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:51