
La politica liquida o “liquidata”? Nel caso del movimento di Grillo, sono vere entrambe le accezioni. Il comico, infatti, sta nella rete, pescando a strascico nella immensa riserva di voti degli scontenti, degli “astinenti/astenuti” e dei politicamente incazzati, che hanno votato in passato i partiti presenti in Parlamento. Naviga il comico nella fluidità delle emozioni, che vanno e vengono sul suo e negli altri “blog”, distruggendo con le sue intemerate tutto il patrimonio biologico/intellettuale che si è depositato nei contenitori partici della Prima e Seconda repubblica. Idem fa Di Pietro. Il “giovane” Renzi opera alla stessa maniera, arando i campi aridi di una sinistra che, smarrito l’antiberlusconismo unificante, ha perduto ogni riferimento cardinale sul suo divenire. Già: e il Pdl? Ernesto Galli della Loggia, sul Corsera del 12 settembre scorso, si chiede se sia vivo e su quali “gambe” politiche si muova. Ma la risposta è ovvia, da entrambe le parti. Nessuno azzarda, né dall’uno né dall’altro campo, di “smarcarsi” dagli azionisti di riferimento (Berlusconi e Bersani, ovvero B.B., in sigla), per timore di perdere tutte le residue chance di rielezione “a legge elettorale invariata”. Ovvero, “viva il Porcellum” (dove, ricordiamo, le liste sono confezionate -a livello nazionale- dalle segreterie dei partiti, Udc, Sel e Idv compresi) se fa sopravvivere tutti noi.
Tutti si chiedono: e Berlusconi dov’è? Secondo alcuni, sarebbe intento quotidianamente a sfogliare la margherita dolente dei sondaggi, per capire se scendere in pista con una qualche novità politica, o aspettare che nell’acido del suo impenetrabile silenzio si sciolgano le ambizioni di Monti e Renzi. Il primo “reo confesso” del fallito rilancio della ripresa economica italiana. Il secondo grande rottamatore dei ferrivecchi che si sono accumulati negli anni nei depositi parlamentari del Pd. La cosa divertente è che chiunque, per vincere, deve allearsi con qualcuno dei propri “simili”. Il problema, però, è esattamente questo: chi sono quelli che si assomigliano? Nel caso del Pdl, come la mettiamo con l’ex alleato Lega Nord (Fini è definitivamente fuori gioco), che sostiene la follia dell’euro delle Regioni, quando sono proprio queste ultime a far sballare i conti pubblici dell’Italia? O l’Udc di Casini, che si è già venduta l’anima a Monti premier dopo il 2013, pur di non ritrovarselo alla presidenza della Repubblica, alla quale il già delfino di Forlani aspira più di ogni altra cosa? Ma, dall’altra parte, in casa Pd, che c’è di così appetibile? Vendola, forse, che gli farebbe perdere una montagna di voti, rispetto ai simpatizzanti “bianco/rosa”, che vedono come il diavolo in persona i matrimoni tra persone dello stesso sesso?
Ancora: Di Pietro si potrebbe mai, un giorno, sposare con Bersani e Renzi, per non parlare poi della presentabilità di vecchi cacicchi del calibro di D’Alema, Veltroni, Bindi, che approfittano della sponda del Quirinale per esorcizzare l’ex simbolo di Mani pulite? E quando, tutti costoro, prenderanno atto delle folgoranti dichiarazioni del Ministro di Giustizia, Claudio Martelli, all’epoca del governo Craxi, che ha denunciato in Commissione parlamentare Scalfaro, Mancino, Conso e il Capo della polizia Parisi, come il gruppo coeso di potere che decise di “trattare” con la mafia, attenuando i rigori del carcere duro per i boss? Chiedo: non sembra evidente a tutti che siamo nell’imminenza di clamorose discese in campo (vedi la presentazione di liste civiche per la moralizzazione del paese), come quella del sostituto procuratore Ingroia, rafforzato dalla eclatante richiesta di impeachment avanzata da Taormina. O di un Matteo Renzi a briglie sciolte, che chieda consensi per realizzare il suo programma della Leopolda?
Sapete chi vincerà le elezioni? Colui che proporrà agli elettori un referendum abrogativo della legge di ratifica del fiscal compact, che riforma i precedenti trattati europei in materia. Ovvero, che proponga in alternativa il rifiuto della modifica costituzionale susseguente, per l’introduzione dell’obbligo del pareggio di bilancio. Poi, occorrerà davvero affrontare in campagna elettorale il nodo della spending review. Qualcuno deve pur dire al Paese che i risparmi seri si ottengono facendo pagare alle Regioni e agli Enti locali inefficienti e spreconi un prezzo politico salatissimo, obbligandoli per legge a chiedere ai loro cittadini di colmare, con l’aumento delle tasse locali, il deficit di bilancio dovuto allo scostamento registrato, rispetto ai costi-standard per servizio pubblico fissati a livello a nazionale. E, poi: vogliamo, o no, restare nell’euro? E, in caso negativo, con che cosa lo sostituiamo?
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:16