
Gli ultimi dati Istat indicano che il nostro Pil sta precipitando verso un rovinoso -3% e che lo scudo anti-spread di Draghi non risolve da solo i problemi dell’Italia. La sfida è trovare una politica credibile per abbattere il debito senza deprimere l’economia, risultato a cui invece ci sta portando la ricetta Monti. Su questo dovrebbe vertere la campagna elettorale, ma i partiti sembrano concentrati piuttosto su alchimie politiche.
Il Pdl non pervenuto: incapace di iniziativa politica, paralizzato in attesa della decisione di Berlusconi sulla sua ricandidatura. A onor del vero, una proposta concreta per abbattere il debito l’ha elaborata, ma leadership e personale politico non rinnovati non la rendono credibile.
Per il Pd il governo tecnico è servito a cacciare Berlusconi e a varare decisioni impopolari; un intermezzo necessario a preparare la presa del potere. Bersani scalpita, vede Palazzo Chigi a portata di mano e scalda i motori della sua gioiosa macchina da guerra 2.0, che lo fa assomigliare a Occhetto nonostante lui si creda Hollande. Si dice pronto, davanti all’Italia e al mondo, ad assumersi la responsabilità di governare, ma per ora si barcamena per scacciare i fantasmi di Monti e Renzi. La campagna del giovane sindaco di Firenze è per lo più rivolta al rinnovamento interno, non si capisce ancora in che direzione guiderebbe il paese. Ma dal Pd non servono tante parole, sappiamo cosa aspettarci: rigore a base di tasse, quindi depressivo, e tentativo di rilancio con investimenti pubblici nelle ristrette pieghe del bilancio. Il piano l’ha svelato D’Alema giorni fa: governare con Casini e Vendola.
Casini spera invece di convincere il Pd a sostenere un Monti-bis. È più interessato alle formule, a rafforzare la sua rendita di posizione, sperando in un risultato elettorale incerto che disponga i due poli a farsi guidare verso il centro. Crede che come programma basti una generica evocazione dell’“agenda Monti” e come rinnovamento una sorta di Udc allargata a qualche esponente della società civile (Emma Marcegaglia, Raffaele Bonanni) e ministro tecnico (Corrado Passera, Andrea Riccardi). Ma che credibilità avrebbero personaggi che accettassero di intrupparsi senza chiari impegni al cambiamento, né programmatici né di apparato? «La pesca a strascico di Casini e i docili tonni della società civile», è il duro attacco di Montezemolo via “Italia Futura”.
Prende le distanze dall’Udc anche “Fermareildeclino”, le cui proposte sono tra le più chiare e condivisibili. Ma restano l’incertezza sulla leadership e il personale politico e il rischio che un certo antiberlusconismo, viscerale in Giannino & Co., colpevolizzi troppo gli elettori che in Berlusconi hanno creduto e che “Fild” con la sua agenda mira a conquistare. Monti ha osservato nei giorni scorsi che «l’Italia ha bisogno di un governo politico», ma in un modo che non sembra escludere una continuazione della sua esperienza, a suo giudizio tutt’altro che “tecnica”. Il professore però continua a giocare da riserva della Repubblica: disponibile a tornare “su richiesta” dopo il voto, o per l’impossibilità di formare una maggioranza, o per il peggioramento del quadro economico. Rispetto a Bersani-Vendola un Monti-bis è senz’altro il male minore.
Ma se spuntasse come opzione residuale per superare uno stallo post-elettorale rischierebbe di fungere da zattera di salvataggio dei vecchi partiti, senza un mandato forte per le riforme necessarie. Un conto è un premier calato dall’empireo per uno scorcio di legislatura; un altro conto è un suo incarico all’inizio di una nuova, sostenuto tra i mal di pancia di chi si sente scippato della vittoria elettorale e di chi è tentato di svolgere fino in fondo il ruolo dell’opposizione per recuperare voti. Se Monti dev’essere, che gli italiani trovino il suo nome sulla scheda e che le forze politiche si riposizionino di conseguenza.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:14