I tanti pasticci della spending review

Quando il blasone conta! Tratto distintivo della nobiltà è quello di dare nomi altisonanti ai propri figli. Il parallelo, in ambito pubblico, è rappresentato dai vezzeggiativi molto in voga di “Mister spending” e “Signorina spread”. Il primo, malgrado le apparenze, è però tutto “italiano” e sta per: “fare le pulizie (organizzativo/finanziarie) in casa propria”. Della donzella “spread” e delle sue gonne ultracorte (attraverso le quali si vedono le vergogne intime dei conti pubblici italiani) parleremo in seguito. Intanto, ci dicono dalla “regia” che -per la buona condotta Monti e per la consistenza dell’attuale attivo primario - lo spread dovrebbe ridursi addirittura di 200 punti. Forse, il problema di fondo non sta nei numeri (veri o di facciata), ma nel pauroso stallo che caratterizza il sistema-paese reale. Prendo un po’ alla rinfusa (mi si perdoni) gli argomenti-chiave che dovrebbero illuminare il buio fitto in cui sta vivendo la nostra pubblica opinione. Monti dice che vede una luce in fondo al tunnel (beato lui), mentre io non riesco a vedere nemmeno il tunnel che sarebbe stato imboccato. 

Intanto, noto che il timing relativo ai provvedimenti di attuazione dei principali provvedimenti del governo per il contenimento della spesa pubblica e la crescita economica, viene attentamente monitorato e pungolato dal principale quotidiano della Confindustria (che, quindi, non si fida affatto della parola del premier, ma desidera giustamente, come tutti noi, i “fatti” conseguenti). Eppure, in tutto questo affaccendamento “inoperoso” (dizionario freudiano) di tutta la carta stampata, manca un’adeguata valutazione strutturale d’impatto organizzativo delle riforme già approvate dal Parlamento, senza la quale sono svuotati di significato tutti gli ambiziosi disegni “montiani”. Prendiamo il dl Sanità, ultimo nato della covata dei provvedimenti di emergenza per la rinascita e il rilancio morale, economico e istituzionale del nostro paese. Ma ci rendiamo conto che, in primo luogo, l’attore principale al quale “dobbiamo” (nel rispetto del riformato Titolo VI della Costituzione sulla ripartizione delle competenze stato-Enti locali) demandare il tutto sono le Regioni? Il che equivale ad affidare al “ladro” la gestione e il controllo della refurtiva. 

Immaginiamo, poi, l’enormità del terremoto organizzativo sul territorio (con verosimili, interminabili code velenose di scioperi e rivendicazioni di adeguamento tariffario, da parte delle professioni sanitarie coinvolte, in tema di “reperibilità e turnazioni” relative), nonché i secolari tempi di attuazione, necessari per avviare la rivoluzione che riguarda i medici di famiglia e l’assistenza ambulatoria specialistica, da rendere disponibile a tempo pieno, per “tutti” i giorni della settimana, a beneficio di decine di milioni di utenti. Qualcuno si rende conto, forse, che oggi i medici di base prescrivono a pioggia esami costosissimi e visite specialiste “preventive”, che producono immensi sprechi nella sanità pubblica, in quanto spesso del tutto non necessari o urgenti? Tutto questo perché il medico di famiglia non ha né il tempo, né la formazione professionale adeguata per un’anamnesi mirata, che discrimini e orienti - a partire dalla conoscenza approfondita del paziente - le richieste successive di esame e visita specialistica.

Non parliamo, poi, dei giganteschi problemi che rimangono interamente da risolvere, per garantire il rispetto del criterio meritocratico nei procedimenti di attribuzione degli incarichi direttivi (primari, direttori generali, amministrativi e sanitari, oggi totalmente monopolizzati dai vari manuali Cencelli dei partiti e delle organizzazioni sindacali presenti sul territorio) presso le strutture sanitarie regionali e locali, per la cui definizione si renderebbe indispensabile l’adozione per legge di un “Codice deontologico” valido per tutti (stato compreso). Ancora: invece di spostare “aria” calda e fredda, perché il governo non dice chiaro e tondo quali poteri incisivi intende dare a nuove/vecchie strutture decentrate dello stato sul territorio, al fine di assicurare, sulla base dell’attuazione del federalismo fiscale, il rispetto di standard prefissati delle prestazioni (sanitarie e non solo!), validi per tutti gli Enti regionali e locali? 

A che cosa debbono servire dirigenti “generalisti” dello stato (già denominati “prefettizi”), se non a garantire il coordinamento verticale e orizzontale di tutte le preziosissime funzioni di valutazione di efficienza e di armonizzazione dei servizi pubblici decentrati e locali (sicurezza pubblica e protezione civile compresa!), ai fini dell’equo trattamento di tutti i cittadini da parte della P.A.? Vogliamo risanare amministrativamente l’Italia? Allora, colpiamo pure nel portafoglio gli interessi di bottega dei politici locali (con proporzionale riduzione dei trasferimenti erariali statali, così come sanzionati dai controllori “centrali” incaricati), perché paghino di tasca propria abusi e disfunzioni, assunzioni clientelari, che generano aumenti ingiustificati di spesa. Altrimenti, continuiamo pure a prenderci in giro.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:02