
Tg 1 di domenica 2 Settembre, ore 13,30. Il servizio riguarda l’Alcoa, fabbrica sarda di alluminio in corso di dismissione poiché non più competitiva. Il giornalista definisce la stessa come «l’industria in assoluto la più energivora d’Italia». Segue l’intervista con un operaio che si considera già disoccupato e privo di speranze per il futuro. Fin qui nulla di particolare. Se non che per un attimo, sullo sfondo e dietro la fabbrica, si è potuta osservare l’elica di una pala eolica che girava. Molto lentamente, come la nostra economia.
Ecco: la sintesi della follia italiana, della malattia che ci pervade e non ci consente di guardare con realismo i fatti e le cose del mondo, è concentrata tutta in questa immagine. Mentre la fabbrica più energivora d’Italia è costretta a chiudere perché non più remunerativa a causa degli elevati costi energetici, una inutile pala eolica si innalza verso il cielo, espressione della nullità dei politici, della dabbenaggine dei cittadini italiani tutti, della potenza del racket ambientalista che, di fatto, (s)governa questo paese. Gli operai sardi, privati del loro presente e del loro futuro, e gli “ecologisti” che ingrassano alle loro spalle.
I sardi, come del resto tutti gli italiani, hanno espresso ed esprimono tutta la loro avversità, unici al mondo, verso l’energia prodotta dall’atomo, di cui si nutrono le nazioni a maggiore sviluppo economico, in nome non solo di una salvaguardia da supposti e inconsistenti pericoli, ma soprattutto in nome di un convincimento, molto pericoloso, di un progresso possibile basato unicamente su sole, vento, maree o altro che pervade i loro sogni influenzati da una propaganda potente per mezzi e diffusione che quotidianamente irrora l’elemento tossico della menzogna e della falsità. Così, mentre l’antagonista di Obama, il repubblicano Romney, indica tra i suoi punti programmatici l’indipendenza energetica, e mentre lo stesso Obama, incassati i voti degli ambientalisti, ha dato anche lui il via a nuove prospezioni petrolifere in ogni dove e alla costruzione di altre centrali nucleari, i sardi, e con loro tutti gli italiani, si scavano la fossa della recessione, della disoccupazione, della povertà economica.
Un’anticamera della perdita di indipendenza e della sottomissione a potenze che, pezzo dopo pezzo, acquisteranno assets molto significativi per la nostra economia. Il tutto mentre politicanti parassiti, inadeguati per conoscenze e coraggio civile, per onestà, per capacità di servire il paese, discettano di alleanze per il prossimo governo, si spartiscono poltrone prima ancora delle elezioni, e mentre il governo dei professori, ormai invischiato nella collosa tela di ragno dei primi, assapora il dolce del potere fine a se stesso, pensando già a trasformarsi da teorici quali sono, a praticanti, non precari né occasionali, della politica italiana. Inutile spiegare quindi ai sardi i vantaggi che deriverebbero alla loro comunità da un investimento sul nucleare, inutile spiegare loro quale flusso di capitali pioverebbe sull’isola e quanti posti di lavoro qualificati si creerebbero sia in fase di costruzione che in fase di gestione.
Altrettanto inutile tentare di far capire loro che con l’energia a basso costo l’Alcoa sarebbe di nuovo competitiva, come sarebbe inutile rimarcare nuovamente che una centrale di produzione elettrica sull’isola comporterebbe sgravi niente affatto trascurabili sulle loro bollette. Se interrogati, con molta probabilità continuerebbero a voler vedere innalzate, inutili totem del pianeta verde, pale eoliche o altrettanto inutili pannelli solari. Di qui una responsabilità collettiva dei politici e della società (cosiddetta) civile nella cattiva sorte che ci stiamo scegliendo. Perché, se è vero che l’Alcoa rappresenta oggi l’evidenza di un fallimento dovuto alle (non) politiche energetiche di questo paese, è altrettanto vero che essa non è altro che la famosa punta dell’iceberg che non mostra il disastro prossimo venturo.
Causa di un governo, quello attuale, che non governa positivamente, e causa di un ceto politico peggiore ancora di quello che si sarebbe potuto immaginare e giudicare. In questo quadro non è difficile prevedere il decadimento della nostra economia, ma prima ancora della nostra tenuta civile, della nostra capacità di sopravvivenza rispetto alle sfide che da tempo, come uragani, percorrono il globo. Purtroppo a nulla valgono gli ammonimenti o le ragionevoli indicazioni. La sintesi dell’Italia di oggi è tutta in quella fugace immagine descritta: un operaio che già si sente disoccupato, e sullo sfondo una pretenziosa pala eolica.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:52