Deborah Bergamini, quando parla di intercettazioni, sa bene a cosa ci si riferisce. Nel 2007 Repubblica pubblicò una serie di intercettazioni riferite ad un’inchiesta di due anni prima. Trascrizioni che furono ritenute penalmente irrilevanti dalla magistratura, ma che non vennero mai distrutte. L’allora responsabile del marketing della Rai fu travolta da una bufera mediatica: venne ritenuta tra i responsabili di una fantomatica struttura, la “Delta”, che avrebbe manipolato l’informazione pubblica, passando informazioni riservate ai concorrenti di Mediaset. Il tutto si concluse in una bolla di sapone, ma fu sufficiente a far sporcare la giacca di onesti professionisti.
Oggi Bergamini è deputato del Pdl, e sulle presunte rivelazioni di Panorama utilizza estrema cautela: «Quando ci si trova di fronte ad un giornalismo che usa il condizionale è molto difficile fare valutazioni. Quel che è certo – prosegue – è che ancora una volta su un fascicolo di intercettazioni si costruisce una trama gigantesca». Per l’onorevole azzurra «l’abuso delle intercettazioni costituisce un’enorme inciviltà nel tessuto politico e sociale del nostro paese, che determina aberrazioni come quelle che stanno toccando il Quirinale».
Il problema non lo si deve individuare nel mezzo in sé, ma nel fatto che si è assistito nel recente passato «ad un processo di smantellamento delle regole e di caduta delle garanzie dell’imputato». Una tendenza sorta per i «presunti benefici politici» che ne vorrebbero trarre «alcuni attori della scena pubblica». Una fabbrica del fango venutasi a creare anni fa, che «era prevedibile avrebbe prima o poi travolto tutte le istituzioni, non risparmiandone nessuna». Per Bergamini l’attacco a Giorgio Napolitano «ha finalmente sviscerato quello che è con tutta evidenza un meccanismo distorto», anche se «nessuno sembra voler fare nulla per arginarlo».
Oggi è il momento di stringersi intorno al Quirinale: «Mi sembra che il presidente della Repubblica abbia tenuto su questo tema un atteggiamento sempre corretto. La sua unica colpa sarebbe quella di aver parlato al telefono». La deputata azzurra non si risparmia una puntualizzazione: «Bisogna difendere oggi il Colle come qualche anno fa si doveva difendere il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Sono entrambe cariche dello stato ai massimi livelli, ed entrambi hanno subito o stanno subendo il medesimo trattamento». Se vengono rilevate similitudini da questo punto di vista, nessuna novità nemmeno sul frangente «del conflitto tra poteri dello stato», che per Bergamini è il vero nodo della paralisi del paese. Un nodo «mai risolto dal lontano 1992, che si spera possa essere risolto adesso che ha investito Napolitano».
E se il ministro Andrea Riccardi ha detto che non spetta al governo mettere mano al tema, per l’ex dirigente della Rai «l’esecutivo dovrebbe dare il suo contributo». Perché se è vero che ai tecnici spetta di affrontare i principali problemi che si pongono per il futuro, «questo mi sembra stia diventando un argomento prioritario».
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:52