«Legge elettorale? C'è l'accordo»

L’accordo sulla legge elettorale? È stato raggiunto, almeno in linea di massima, ma nessuno vuole assumersi la responsabilità di questa intesa davanti all’opinione pubblica. Il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione, lancia la “bomba” in diretta tv, davanti ai microfoni di TgCom24. Il problema, spiega Buttigione, è che «fatica a passare l’idea che c’è un clima di concordia, abituati alla guerra dell’uno contro l’altro». «Ma solo uniti – conclude il leader centrista - possiamo farcela. 

Dobbiamo fare una legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere e che, eventualmente, costringa anche i partiti a una grande coalizione». Eppure la mattinata di ieri si era aperta con la lunga intervista concessa da Pierluigi Bersani a Repubblica, in cui il segretario del Pd sottolineava come un accordo tra i partiti sulla legge elettorale ancora non fosse stato siglato, malgrado la «disponibilità» del Partito democratico. «Naturalmente – aveva spiegato Bersani - non rinunciamo ai nostri due paletti. Primo: la sera in cui si chiudono le urne il mondo deve sapere chi governa , altrimenti ci travolge uno tsunami. Secondo: i cittadini devono scegliere chi mandare in Parlamento». Tra i “paletti” imposti dal Pd, «un premio di maggioranza ragionevole, e il 15% lo è, insieme ad una quota significativa di collegi uninominali, per ricreare un legame tra elettori ed eletti».

Poi una battuta sulla possibilità di elezioni anticipate: «Sono un’elucubrazione dannosa. Io non le auspico e non le vedo all’orizzonte, anche se è nostro dovere tenerci pronti a qualunque evenienza. Poi, lo dico una volta per tutte, non c’è alcun nesso tra voto anticipato e legge elettorale». Uno dei primi a reagire alle parole di Bersani è stato il suo collega di partito Arturo Parisi. «È difficile credere – scrive il deputato del Pd in una nota – che Bersani non venga informato sulle trattative che a suo nome vengono portate avanti con i plenipotenziari di Berlusconi sul solco della proposta avanzata a suo tempo da Violante a nome del Partito democratico.

Nel caso, qualcuno si precipiti ad avvisare Bersani. Gli obiettivi inderogabili che col suo noto stile minimalista preferisce chiamare “paletti” sono stati da tempo abbondantemente abbattuti. A suo nome». «La bozza di legge – prosegue Parisi – si propone esattamente l’opposto di quello che afferma Bersani. Impedire che dal voto dei cittadini esca una maggioranza e un governo. Assicurare che la maggioranza dei parlamentari continui ad essere nominato dalle segreterie dei partiti». «Una risposta esattamente opposta - conclude Parisi - alla domanda che un milione e mezzo di cittadini ci affidò lo scorso anno proprio di questi giorni per superare la vergogna della legge attuale».

Pessimista, sull’ipotesi di un accordo ormai a portata di mano, è anche uno dei coordinatori nazionali del Pdl, Ignazio La Russa: «Sulla legge elettorale non credo si sia trovato un accordo. Non si sono superate le solite divergenze». In una intervista al Messaggero, La Russa ribadisce il suo no a un Monti bis e alla grande coalizione. E spiega che sulla legge elettorale «le riforme sono ancora più necessarie se il premio di maggioranza verrà dato al partito che vince e non alla coalizione, perché se il premio va al partito, alcuni partiti minori confluiranno inevitabilmente nel partito principale, quindi il numero dei possibili candidati aumenta assai». «E chi si prende la responsabilità di dire qual è il candidato giusto in quella zona o in quell’altra? – si chiede La Russa - Una buona mediazione potrebbe essere quella di Casini.

Alla Camera le preferenze e al Senato i collegi sul tipo del sistema in vigore per le provinciali». Più che disposto a trovare un punto d’incontro con Pdl e Udc sembra essere il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, che intervistato dall’Unità, assicura che ci sono le condizioni per chiudere già la prossima settimana sulla riforma elettorale e spiega che «non dobbiamo temere le polemiche, che ci saranno in ogni caso». «Non possiamo permetterci di tornare al voto con le liste bloccate – conclude Letta - perché significherebbe delegittimare anche il prossimo Parlamento. Chi in questo momento fa distinguo vuole tenersi il Porcellum». Uno che, secondo la teoria di Letta, vuole “tenersi il Porcellum” deve essere il suo collega di partito, Stefano Ceccanti, che si oppone alla possibilità di introdurre le preferenze. «Non vengono usate in nessuna grande democrazia europea», dice Ceccanti, che preferisce «liste bloccate corte, di 3-4 candidati» con la possibilità, per i partiti, di «attingere ai collegi recuperando i migliori perdenti». «Così - spiega Ceccanti - si superano le due principali rigidità del Porcellum, l’impossibilità di scegliere i candidati e le coalizioni troppo rigide».

Ma quante possibilità ci sono che, trovato l’accordo, si vada a votare a novembre? Secondo Augusto Barbera, costituzionalista di area Pd, «da uno a dieci, zero». «Per i partiti - afferma Barbera - quella elettorale è la legge più importante che c’è, ne va della loro sopravvivenza e del loro futuro. Se anche ci fosse un accordo di massima entro agosto, occorrerebbero almeno un paio di mesi per perfezionarlo e non si riuscirebbe a stare nei tempi». «A parte il fatto - aggiunge Barbera - che bisognerebbe anticipare a settembre l’approvazione della legge di stabilità, e per farlo occorrerebbe una sintonia tra le forze politiche che francamente non vedo, c’è il problema dei collegi elettorali. La nuova legge presupporrebbe nuovi collegi, e disegnarli porta via molto tempo. Il mandato di Napolitano scade a metà maggio, sciogliendo le camere a gennaio e votando ai primi di marzo avrebbe tutto il tempo di affidare l’incarico al nuovo premier e guidarne i passi nella formazione del governo». Barbera rilancia anche l’idea di una nuova Costituente per evitare di «aprire un’autostrada davanti a Beppe Grillo».

Nel fronte degli “attendisti”, infine, si schiera anche Francesco Storace. «È un errore - scrive sul suo blog il leader della Destra - correre verso l’approvazione di una legge elettorale più sbagliata di quella da abrogare, a meno che non si sia già fissato il voto a novembre. Ma in quel caso in molti, a cominciare da Berlusconi, sbaglierebbero i conti. Suggeriamo invece al centrodestra di attendere il risultato delle elezioni siciliane. La vittoria di Nello Musumeci e la sconfitta dell’asse Pd-Udc rimetteranno in discussione l’esito delle elezioni politiche del 2013, che in troppi danno per scontato». Troppo ottimismo? Non ci resta che attendere.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:00