
Intervistata a “tutto campo” dal settimanale l’Espresso («Che scoperta, la politica»), il ministro della Giustizia, Paola Severino, a un certo punto sostiene di avere «molto a cuore il problema delle carceri e la drammatica situazione in cui versano», e alla domanda se pensa di aver fatto abbastanza, risponde: «Il possibile, per ora. Quasi duemila posti in più con i nuovi padiglioni,tremila detenuti in meno con le sliding doors e altri duemila con gli arresti domiciliari. Ma continuerò a lavorare per loro».
Tremila detenuti in meno con le sliding doors e altri duemila con gli arresti domiciliari, fanno cinquemila. Considerando che la popolazione carceraria toccava, detenuto più, detenuto meno, circa 68mila unità, se non fosse una questione tremendamente seria e drammatica, quei cinquemila detenuti in meno farebbero sorridere. Si potrebbe inoltre eccepire sulla creazione di quei duemila posti in più, e basterebbe chiedere a un qualunque rappresentante sindacale degli agenti penitenziari. Resta il fatto che sulla carta la capienza carceraria è di 44mila unità. Si aggiungano pure i “nuovi” duemila. Non si arriva a 50mila: sempre meno 18mila. Il “possibile”, signor ministro?
L’agenzia Ansa poi, ha diffuso alcuni dati che conviene riportare integralmente: «Nelle carceri italiane ci sono ad oggi 65.758 detenuti, 706 in meno rispetto al Ferragosto dell’anno scorso, quando erano 66.464». Si badi: sono cifre ufficiali, comunicate dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nel corso dei collegamenti che il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, ha avuto con le sale operative dei diversi corpi dello stato. Qualcuno evidentemente da i numeri. Qualcuno dovrebbe spiegare come mai il ministro della Giustizia si gloria un calo di cinquemila detenuti grazie alle sliding doors e agli arresti domiciliari; e la collega degli Interni fa sapere che il fatto «possibile, per ora», si è tradotto in 706 detenuti in meno rispetto all’anno scorso. Ecco dunque che il «si è fatto il possibile, per ora», diventa una vera e propria presa in giro.
E intanto, Marco Pannella... Già: Pannella, intervistato per 90 secondi dal Tg2 il giorno di Ferragosto, ha “scritto” un’altra, bella pagina di comunicazione televisiva: dopo il lungo, interminabile silenzio imbavagliato, il “Babbo Natale” in giallo, i nudi del Flaiano, il «faccia come il culo» spiattellato a uno spudorato Dario Franceschini, ha concluso con le mani giunte in laica e orientaleggiante preghiera... Cosa vuole mai questo Pannella, cosa dice, cosa farfuglia concetti difficili da comprendere, quando gli fanno domande se ne parte per la tangente, ridondante, ripetitivo, logorroico, faticoso da seguire... molte volte accade di sentire questi discorsi: obiezioni, fatte spesso senza astio, da persone che ti dicono di avere in grande simpatia i radicali, di averli seguiti, approvati, qualche volta (perfino!) votati... Cosa vuole, dunque, Pannella che ora accende questa polemica con il presidente della Repubblica che – lo dico in modo pedestre – sostiene sia parte attiva del processo di tradimento della Costituzione... Sì, certo, la giustizia, le carceri, tutte cose giuste; ma con tutti i problemi che ci sono, la crisi, il lavoro che manca, i giovani che non trovano occupazione...
È una sintesi del banale e dell’ovvio che circola sul conto dei radicali e di Pannella in particolare. Un catalogo di luoghi comuni ciclicamente ripetuti. A conferma di una antica “maledizione”: Pannella e i radicali sono “buoni”, “ragionevoli”, “accettabili” sempre “ieri”, mai “oggi”. Solo che “ieri” si diceva esattamente quello che di loro si dice “oggi”. E sicuramente “domani” si dirà di Pannella e dei radicali quello che si dice “oggi”, e – sempre “domani” – si rimpiangerà quelli che sono “oggi”, dimenticando quello che si è detto e scritto. I radicali “buoni”, insomma, sono sempre e solo quelli alla memoria... C’è chi aveva compreso, capito. Una persona, uno scrittore che ci ha lasciato, sarebbe stato prezioso il suo consiglio, il conforto della sua critica: Leonardo Sciascia.
In un articolo scritto oltre vent’anni fa, Sciascia coglieva perfettamente l’essenza, il nocciolo della questione radicale: «Marco Pannella», scriveva, «è il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge, della giustizia. Ce ne saranno altri, ma senza volto e senza voce, immersi e sommersi in partiti la cui sensibilità ai problemi del diritto soltanto si manifesta quando qualche mandato di cattura raggiunge uomini del loro apparato: per il resto, se ne stanno in silenzio; e anzi certi arbìtri dell’amministrazione della giustizia, quando toccano altri, di altri partiti, li mettono in conto dell’alacre ed esatto agire dei giudici. Ciò fa parte della vecchia e fondamentale doppiezza della vita italiana: buono e giusto è quel che facciamo noi o di cui noi caviamo comunque vantaggio; cattivo, ingiusto e da punire è la stessa, identica azione fatta dagli altri. Doppiezza che si può far risalire al cattolicesimo controriformismo e che tirannie, fascismi e antifascismi hanno alimentato e perfezionato».
Poi la risposta all’ovvio, al banale che giorno dopo giorno si rovescia su Pannella e i radicali: «Si fa quello che si può: e per richiamare l’attenzione degli italiani su un così grave e pressante problema, Pannella è spesso costretto (lui che, a ben conoscerlo, è uomo di grande eleganza intellettuale) a iniziative che appaiono a volte funambolesche e grossolane. Ma come si fa a vincere quella che si può considerare una congenita insensibilità al diritto degli italiani, se non attraverso la provocazione, l’insulto, lo spettacolo? Si suol dire - immagine retorica tra le tante che ci affliggono - che l’Italia è la “culla del diritto”, quando evidentemente ne è la bara...».
Queste cose Sciascia non le ha potute pubblicare in Italia, perché non un giornale, tra i tanti che c’erano e ci sono, volle ospitare quest’articolo. Queste cose Sciascia le pubblicò sul quotidiano spagnolo El Pais. Tutto torna. Sciascia pubblicava all’estero quello che pensava di Pannella e dei radicali; Pannella e i radicali oggi come ieri non hanno modo di comunicare, cosicché giustamente ci si può domandare: ma sono impazziti, con le loro accuse al presidente Napolitano? Giorni fa la Rsi ha trasmesso un bel film di quella Hollywood che non c’è più, il film è in bianco e nero: Vincitori e vinti. Parla di un processo a Norimberga, a dei nazisti. Il difensore di quei criminali, un superbo Maximilian Schell, cerca di convincere il giudice (un altrettanto superbo Spencer Tracy) a non condannarli: hanno obbedito agli ordini; non bisogna umiliare la Germania; c’è la guerra fredda e contro Stalin i tedeschi, anche i nazisti, possono servire... Il giudice ascolta, riflette, e dice quella che è la frase chiave del film: «È tutto logico. Ma non è giusto». Ecco: in Italia accadono tante cose logiche; e il comportamento del presidente Napolitano è il più logico di tutti. Ma non è giusto. Pannella, come quel giudice, dice: «È logico, ma non è giusto». E come diceva Sciascia, con la nonviolenza ci si batte per il diritto, la legge, la giustizia.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:50