Acqua, gas, rifiuti: paghiamo il doppio

Liberalizzare conviene? Sì. Le liberalizzazioni aprono al mercato alla concorrenza, un sistema dove vince chi è in grado di offrire all’utenza il servizio migliore al prezzo più basso. Questo, almeno, è quello che accade in un sistema sano, dove il regime concorrenziale si realizza appieno. In Italia, a quanto pare, no.

Sarà perché nel nostro paese gli approvvigionamenti di energia e materie prime sono sempre più difficili e costosi che altrove, oppure perché la concorrenza si realizza soltanto sulla carta, sta di fatto che negli ultimi 10 anni le tariffe hanno subito solo aumenti vertiginosi. Lo dice la Cgia di Mestre, secondo la quale nell’ultimo decennio, a fronte di un incremento del costo della vita pari al 24%, «le bollette dell’acqua sono cresciute del 69,8%, quelle del gas del 56,7%, quelle della raccolta rifiuti del 54,5%, i biglietti ferroviari del 49,8%, i pedaggi autostradali del 47,5%, l’energia elettrica del 38,2% e i servizi postali del 28,7%». Solo la telefonia ha subito un decremento del prezzo, con un misero -7,7% cui tocca il ruolo del Pollicino in mezzo ad una simile selva di rincari a due cifre più decimale al seguito.

Che tutto costi sempre di più, le famiglie italiane se n’erano accorte: non è affatto un caso che, tra il 2001 e il 2011, la spesa per i consumi finali abbia fatto registrare un aumento del +4%, al netto dell’inflazione.

E non è certo solo colpa della crisi economica o della famigerata moneta unica che sembra aver tagliato le gambe al nostro potere d’acquisto. C’entrano, come si è detto, e come sottolinea anche il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, «il costo crescente registrato dal gas e dal petrolio, l’incidenza delle tasse e dei cosiddetti oneri impropri, che gonfiano enormemente le nostre bollette, e i modestissimi risultati ottenuti con le liberalizzazioni». Già, le liberalizzazioni. Le apertura italiane al libero mercato di quei segmenti un tempo appannaggio di un unico soggetto erogante, a quanto pare, in Italia non vengono effettuate a sufficienza, e dove vengono effettuate c’è sempre qualcosa che non va. Possiamo consolarci, dice Bortolussi, con le bollette dell’acqua potabile, che nonostante gli aumenti restano sostenibili: «È vero che la variazione percentuale è stata la più consistente - dice - ma va anche sottolineato che gli importi medi pagati da ciascuna famiglia italiana sono ancora adesso tra i più bassi d’Europa».

Sembra dunque che l’unico risultato tangibile delle liberalizzazioni Made in Italy sia stato quello di far lievitare il numero delle Authority: ce ne sono già quattordici, altre due sono però in dirittura d’arrivo, salvo cambiamenti di rotta. Svolgono il ruolo di garanti, vigilando sul corretto mantenimento della libera concorrenza in questo o quel settore. Costano care, e forse non lavorano abbastanza. Perché di esempi di liberalizzazioni che non hanno portato nessun vantaggio ai consumatori ce ne sono a bizzeffe. Dal 2000, ad esempio, anno di liberalizzazione del settore ferroviario, i biglietti sono aumentati del 53,2%, contro un aumento del costo della vita pari al 27,1%. Dal 2003, quando è stato aperto il mercato del gas, il prezzo medio delle bollette è aumentato del 33,5%, mentre l’inflazione è cresciuta del 17,5%. Se poi tra il 1999 ed il 2011 il costo delle tariffe dei servizi postali è aumentato del 30,6%, pressoché pari all’incremento dell’inflazione avvenuto sempre nello stesso periodo (+30,3%), per l’energia elettrica la variazione delle tariffe, avvenuta tra il 2007 ed il 2011, è stata sempre in crescita (+1,8%), anche se più contenuta rispetto all’inflazione (+8,4%). Solo nei servizi telefonici, si diceva, le liberalizzazioni hanno abbattuto i costi. Tra il 1998 ed il 2011, le tariffe sono diminuite del 15,7%, mentre l’inflazione è aumentata del 32,5%. 

Insomma: liberalizzare conviene, farlo “all’italiana” no. Anzi, costa molto di più.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:07