Non c’è pace per il contribuente italiano. Non si fa in tempo a promettere di abbassare le tasse che subito qualcun altro trova il modo di aumentarle comunque. È il nuovo gioco dell’estate italiana, con vacanzieri sempre meno in panciolle sotto gli ombrelloni e sempre più in ambasce tra l’ufficio del commercialista e l’esattoria. Del resto le tasse si comportano proprio come la calura estiva: nel seno che da un lato c’è il livello indicato dal termometro e dall’altro c’è il caldo percepito. In Italia la colonnina di mercurio, in questo caso i dati Istat, ci dice che nel 2012 il pressing del fisco sul contribuente pesa per il 45% del reddito. La verità è che chi paga le tasse si vede sottrarre dallo stato tra il 55% e il 70% di quello che guadagna, perché costretto a pagare anche sui redditi di chi evade.
Ecco perché quando qualcuno promette di abbassare le tasse è sempre bene prendere le sue dichiarazioni con le molle, quasi fosse uno di quei santoni che nel Midwest americano girano per le campagne promettendo di far piovere sui campi assetati dalla siccità. Non se la prenda per questo accostamento il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, che soltanto ieri l’altro ha promesso agli italiani che il governo rivedrà al ribasso la tassazione, anche se con tempi non certissimi e probabilmente ancora di là da venire. Di sicuro l’inquilino di via XX Settembre è in buona fede, e mosso dalle migliori intenzioni. Il problema è che mentre lui lavora alacremente per abbassare le tasse c’è chi, con un impegno almeno pari al suo, galoppa in direzione opposta.
Chi sono? Gli enti locali, regioni e comuni in testa. Mentre lo stato prova (o almeno finge di provare) a far quadrare con la spending review, i comuni si cimentano in un’assurda corsa al rialzo delle addizionali Irpef, per depredare il contribuente di tutto ciò che Roma non vuole più dare loro.
A dirlo è l’ultimo studio della Cgia di Mestre: numeri alla mano l’associazione degli artigiani e delle pmi spiega come nei vari palazzi civici sparsi in giro per l’Italia invece di razionalizzare le spese e limitare gli sprechi si preferisca spremere i residenti fino al limite consentito. «Gli aumenti a livello comunale e regionale delle addizionali Irpef dovrebbero costare ai contribuenti italiani almeno 3,5 miliardi di euro» dice Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia. «Le città più colpite dagli aumenti - prosegue Bortolussi - sono Palermo, Torino, Genova e Venezia, che però ha salvaguardato i redditi più bassi».
Com’è successo? I conti fatti dalla Cgia fanno riferimento a due provvedimenti di legge adottati nel 2011: il primo dal governo Berlusconi, che ha consentito ai sindaci di aumentare l’addizionale comunale Irpef sino al valore massimo dello 0,8%, il secondo dal governo Monti, che attraverso il decreto “Salva Italia” ha maggiorato dello 0,33% l’addizionale regionale Irpef. In soldoni, ecco cosa succede: «Se la prima misura dovrebbe portare nelle casse comunali un gettito aggiuntivo oscillante tra 1,3 e 1,5 miliardi di euro, la seconda, stando alle previsioni dell’Esecutivo in carica, assicurerà alle Regioni un incasso di 2,2 miliardi di euro, garantendo un gettito complessivo di almeno 3,5 miliardi di euro» spiega l’associazione degli artigiani mestrini. «Se l’aumento dell’addizionale comunale si farà sentire su pensioni e buste paga solo a partire dal 2013, gli incrementi a livello regionale, invece, li stiamo pagando dal gennaio di quest’anno». Come se non bastasse, fanno notare dalla Cgia, si deve tenere conto che in aggiunta a questi numeri Liguria e Toscana hanno ulteriormente ritoccato all’insù l’addizionale regionale Irpef.
Ma la Cgia di Mestre è andata oltre, andando a vedere nel dettaglio come si sono comportati i sindaci delle grandi città. Si scopre così, ad esempio, che tra i principali Comuni capoluogo di provincia, solo sette non hanno ancora deliberato l’eventuale variazione dell’addizionale comunale Irpef. Sono Ancona, Perugia, Roma, L’Aquila, Campobasso, Bari e Trento. Inutile illudersi, la stangata potrebbe arrivare anche qui.
Tra quelli che invece lo hanno già fatto, solo Firenze ha adottato nel 2012 una aliquota inferiore a quella del 2011: 0,2% in sostituzione dello 0,3%. Cinque i comuni che invece hanno confermato l’addizionale comunale Irpef del 2011: Aosta, Bolzano, Bologna, Trieste e Potenza. Queste ultime hanno addirittura trascinato l’addizionale comunale fino al livello massimo dello 0,8%. Anche Torino, Milano, Venezia, Genova, Catanzaro, Palermo e Cagliari hanno inasprito l’aliquota.
In molti comuni, però, è stata stabilita una soglia di reddito al di sotto della quale l’addizionale non è dovuta. Venezia, ad esempio, ha elevato da 15mila a 20.100 euro la soglia al di sotto della quale l’addizionale non è dovuta. I contribuenti di San Marco con reddito compreso che rientrano in questa fascia nel 2012 risparmiano una cifra compresa tra i 29 e i 38 euro. Per tutti gli altri, l’addizionale comunale Irpef sarà più pesante rispetto al 2011.
In alcuni comuni si passa da un metodo di calcolo dell’addizionale su base proporzionale a un metodo di tipo progressivo per scaglioni di reddito. Un cambio che può essere vantaggioso per i redditi più bassi. «A Napoli, ad esempio, nel 2011 si applicava l’aliquota del 0,5% sull’intero reddito, mentre nel 2012 sulla quota di reddito sino a 15mila euro si applica l’aliquota dello 0,45%, nella fascia da 15.000 a 28.000 euro l’aliquota è dello 0,5%, solo sulle fasce superiori si supera l’aliquota del 2011» spiegano dal centro studi Cgia. «A Cagliari, invece - dicono - il meccanismo a scaglioni fa sì che per il 2012 sui primi 15mila euro di reddito si applichi una aliquota del 0,45%, vantaggio che si assottiglia al crescere del reddito».
Non resta insomma che attendere pazientemente che Grilli ora mantenga al più presto le sue promesse. Sperando che i suoi tagli riescano almeno compensare i rincari altrui.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:49