I radicali interrogano, ma Severino nicchia

Il ministro di grazia e giustizia, Paola Severino, forse troppo indaffarata a rispondere a compiacenti interviste del “Corrierone”, non ha trovato invece il tempo di rispondere, in aula o per iscritto, a ben 60 tra interrogazioni e interpellanze parlamentari che concernono l’emergenza carceraria e più in generale la giustizia, presentate dai deputati radicali in un arco di tempo che va dal 6 settembre 2011, praticamente poco prima dell’insediamento del governo tecnico, sino al 7 luglio scorso.

Così la deputata Rita Bernardini ha preso carta e penna scrivendo poche righe al presidente della Camera Gianfranco Fini per evidenziare la incresciosa situazione: «Gentile presidente, ai sensi dell’articolo 134 comma 2 del regolamento della Camera dei deputati, essendo trascorsi i venti giorni entro i quali il Governo doveva rispondere, chiedo di porre le seguenti interrogazioni a risposta scritta all’ordine del giorno delle Commissioni competenti». Segue il lungo elenco in ordine temporale decrescente, cioè dalla più recente alla più vecchia.

Messe così, in fila per sei con il resto di due come i 44 gatti della filastrocca, ma qui si tratta di sessanta atti ispettivi trattati, nonostante la delicatezza degli argomenti, con colpevole indifferenza, fanno una certa impressione.

Inutile pensare a cosa sarebbe successo se un simile appunto fosse stato mosso al precedente governo, quello dell’ex premier Berlusconi: si sarebbe come minimo parlato di golpe dell’esecutivo ai danni del Parlamento. Ma poichè stiamo parlando delle interrogazioni a risposta scritta dei radicali eletti nelle liste del Pd, cioè quei rompipalle che Fioroni e D’Alema hanno già detto di non volere ricandidare, visto che disturbano le grandi manovre partitocratiche, al secolo “le grandi intese”, va bene così.

Resta da domandarsi cosa sia contenuto nelle interrogazioni in oggetto. E allora abbiamo preso la prima e l’ultima, tanto per farci un’idea. Chi è interessato ad approfondire ulteriormente, vada sul sito della Camera e si compulsi uno per uno i documenti in questione tramite il link con l’attività parlamentare della stessa Rita Bernardini.

La prima interrogazione della serie, la 4/13090, fu depositata il 6 settembre 2011 quando ancora c’era l’ultimo ministro Guardasigilli del governo Berlusconi, Francesco Nitto Palma. In essa si ricordava la tragica storia di un suicida in carcere. Era il 22 agosto del 2011, Serghiei Dragan, 32enne moldavo, si tolse la vita un giovedì nella sua cella del carcere di Opera. «Anche in passato l’uomo aveva più volte tentato di togliersi la vita in carcere tramite impiccagione, ciononostante non era considerato un detenuto a rischio e non era sottoposto nel regime dei sorvegliati a vista».

Gli interroganti poi chiedono «se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa» e «quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l’alto tasso dei decessi per suicidio in carcere». Questa interrogazione nonostante ben nove solleciti, l’ultimo dei quali è dello scorso 8 agosto, è rimasta lettera morta per via Arenula.

L’ultima delle sessanta interrogazioni pendenti, la 4/16908, presentata il 9 luglio scorso, riguarda invece la storia di un ragazzo massacrato di botte durante la finale degli europei Italia-Spagna nel carcere minorile di Torino, il Ferrante Aporti. La sua storia era finita in un articolo di cronaca locale e gli interroganti della pattuglia radicale del Pd in Parlamento hanno chiesto al ministro se era vero che il giovane fosse stato oggetto di altre analoghe aggressioni durante eventi sportivi e a che tipo di vigilanza fosse sottoposto. Ma anche in questo ultimo caso, così come nel primo e negli altri cinquattotto, le risposte scritte richieste al ministro Severino non ci sono. Bob Dylan avrebbe detto che «soffiano nel vento». Quello dell’indifferenza alla condizione carceraria. Quello della “prepotente urgenza” che neanche il Capo dello stato osa denunciare con un messaggio alle Camere così come la Costituzione vigente imporrebbe di fare. Preferisce parlarne in convegni o interviste, affermando che «non ci sono le condizioni poltiche per l’amnistia».

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:55