
Le famiglie italiane sono sempre più indebitate con le banche: al 31 dicembre 2011 l’indebitamento medio delle famiglie italiane ha raggiunto quota 20.107 euro. Lo dice un recente studio della Cgia di Mestre che, come ogni anno, ha cercato di capire qual è lo stato di salute economica delle famiglie italiane.
Ma che fine hanno fatto i risparmiatori italiani, le proverbiali “formichine” dello Stivale che un tempo erano la pietra di paragone dell’attitudine all’accantonamento per le economie sviluppate? Sono scomparsi, si sono nascosti in attesa di tempi migliori, o forse si sono estinti del tutto, come le tigri dai denti a sciabola e i dodo. Chi ancora aveva il porcellino di terracotta l’ha rotto da tempo per far fronte alle necessità. Colpa del cambio di abitudini, della sempre più diffusa cultura del consumo? Forse no, o per lo meno non di recente, visto che i livelli dei consumi, secondo i dati di Confcommercio, hanno fatto registrare negli ultimi mesi contrazioni così drastiche (-2,8%) da riportarci ai numeri del dopoguerra. Anzi: sempre secondo Confcommercio, per trovare un dato peggiore di questo bisogna risalire agli Anni ‘30.
Quindi, ancora una volta, è soprattutto colpa alche della crisi. Nell’ultimo anno, infatti, l’aumento medio dei debiti delle famiglie italiane è cresciuto di 911 euro. Dal gennaio 2009, data convenzionale per indicare l’inizio della crisi economica, l’incremento è stato del +33,4%, pari, in termini assoluti, a 5.039 euro.
Ma cosa “pesa” nella voce dei debiti delle famiglie del Belpaese? «Per indebitamento medio delle famiglie consumatrici italiane - dicono dall’associazione mestrina - si è inteso quello originato dall’accensione di mutui per l’acquisto di una abitazione, dai prestiti per l’acquisto di auto/moto e in generale di beni mobili, dal credito al consumo, dai finanziamenti per la ristrutturazione di beni immobili, e così via».
«Al di là della mappatura a livello territoriale – dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre – la maggiore incidenza del debito sul reddito la rileviamo nelle famiglie economicamente più deboli: è chiaro che con il progressivo aumento della disoccupazione questa situazione è destinata a peggiorare. Non dimentichiamo, inoltre, che in Italia esiste un ampio mercato del prestito informale che non transita per i canali ufficiali». Già, il “prestito informale”. Un eufemismo tecnico per indicare lo “strozzinaggio”, il prestito ad usura. «Vista la forte contrazione degli impieghi bancari avvenuta in questi ultimi anni, non è a escludere che questo fenomeno sia in espansione, con il pericolo che la piaga dell’usura si diffonda a macchia d’olio».
Come vanno interpretati i risultati a livello territoriale emersi dall’elaborazione della Cgia? Tutto considerato, i toni non sono pessimistici. Il perché lo spiega sempre Bortolussi: «Premesso che le province più indebitate sono anche quelle che presentano i livelli di reddito più elevati è evidente che tra queste realtà in difficoltà vi sono anche molti nuclei appartenenti alle fasce sociali più deboli. Tuttavia, le forti esposizioni bancarie di questi territori, soprattutto a fronte di significativi investimenti avvenuti negli anni scorsi nel settore immobiliare, ci devono preoccupare relativamente». Quello che deve preoccupare sul serio, semmai, sono i dati che non compaiono nell’analisi: quel “prestito informale” che resta sempre fuori da tutte le statistiche ufficiali, e ciononostante è in grado di causare danni incalcolabili ai bilanci traballanti delle famiglie italiane. Perché i debiti contratti a tassi esorbitanti attraverso questo canale fanno molto in fretta a diventare insostenibili.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:43