
Con esponenti postfascisti alla guida del Campidoglio e della Regione Lazio sembrerà strano, ma Roma resta molto condizionata dalla forza dell’area comunista, che nel suo insieme localmente vale il doppio rispetto al dato nazionale. La destra al vertice ha esasperato questa area estrema che non ha faticato a farsi seguire in tutta una serie di eventi dall’ampio arco delle sinistre capitoline, facendo loro condividere il giudizio di inaccettabilità sulla situazione.
Nella guerra di insulti che ne è seguita, sviluppatasi da un anno in qua soprattutto sui manifesti, gran parte dell’area centrista e molti gruppi liberali hanno finito per condividere la condanna di sinistra, non fosse che per evitare motivi di polemica strumentale. In questo contesto il conflitto fisico scoppiato con l’occupazione dell’aula consiliare capitolina, la relativa distruzione di carte e l’interruzione del dibattito sulla vendita del 21% dell’Acea, con manifestanti fin sotto le scalette d’accesso, tutti comportamenti messi in atto dall’opposizione di sinistra, hanno segnato un punto favorevole ai violenti. Dalla politica come dalla magistratura non sono pervenute solidarietà alla maggioranza, anzi le sentenze sull’ostruzionismo comunale, come sulle utilities a livello nazionale, si sono inserite dopo lo stop violento, bloccando per il momento la delibera di vendita.
La sinistra conta sul sistema dei due pesi. Su Alemanno pesa la spada di Damocle giudiziaria che alla fine riuscì a coinvolgere e spingere alle dimissioni Storace. Finora è riuscito a non far coinvolgere l’istituzione da lui rappresentata con parentopoli, con l’arresto, con famiglia, di Samuele Piccolo, il consigliere comunale più votato, con i doppi lavori di due dirigenti Acea, impegnati a vendere auto a Tor Cervara, e con la presenza in comune dell’ex componente della Banda della Magliana, Maurizio Lattarulo.
Dall’altra parte l’illegalità è un dato praticato, rivendicato ed impunito. Sfrattata dal voto in quasi tutte le istituzioni, l’area comunista non ha trovato solo rifugio presso gli assessorati della Provincia, ma anche in un suo mondo alternativo che celebra un’altra economia, un’altra vita, un’altra cultura ed un’altra arte. Pagato sempre dai soliti soldi. Il Teatro Valle occupato ormai da un anno, a forza di 15 euro a spettacolo, esentasse ed esencontributi, con il sostegno di strutture culturali pubbliche di altre regioni è l’ultimo esempio, il fiore all’occhiello di un mondo che deve essere mantenuto da tutti che lo vogliano o no. Il teatro degli orrori e delle burocrazie, paradossale ed inconsciamente autobiografico titolo della sua nuova stagione, è sbocciato sul mondo della più impressionante concentrazione (accanto a quella uguale e contraria delle forze dell’ordine) di centri, luoghi e case occupate, vanto di una Roma hard to die. Famiglie, extracomunitari e centri sociali hanno occupato dovunque e comunque, tranne, sembra, che nei municipi XVI, XVIII e XX.
Indagini molto a campione ed alla carlona dell’istituzione capitolina buttano giù facilmente un centinaio di luoghi, tra i quali non c’è per esempio il Teatro Volturno occupato ormai da un decennio, dopo il fallimento di una società Cecchi Gori e dove un minitentativo di sgombero provocò un anno fa immediate assemblee e mobilitazioni. Il movimento Action, che ha anche un bel sito web e che ultimamente ha anche temporaneamente occupato l’ambasciata spagnola in nome della Rete di solidarietà con Lander Fernandez, è il più attivo: occupa via Vittorio Amedeo II (proprietà del Comune), via Carlo Felice, (Bankitalia) nel I Municipio, l’ex ispettorato del lavoro di via de Lollis, via Decreti nel II municipio, una scuola media in viale Castrense (Conte Vaselli) nel IX Municipio, un magazzino Atac in via Lucio Sestio, via Erminio Spalla nel X vicino alla sede del centro culturale Imago. È vero che ha dovuto cedere allo sgombero forzato dall’ex ospedale Regina Elena (Regione) di via del Castro Laurenziano. Sono però casi rari. Se ne registra solo un altro, l’ex ambasciata Somala dio via dei Villini, liberata a vantaggio dei suoi occupanti e delle donne che vi passavano vicine più che alla proprietà, visto il livello di degrado raggiunto.
Le occupazioni, anche quando salvifiche dal punto di vista sanitario, scatenano sempre una ridda di sarcasmi e di difese, solitamente incuranti dell’interesse dei più e che si fanno beffe di istituzioni, incerte nel loro tentativo di non apparire troppo autoritarie. In un patto più o meno tacito, l’ampio mondo che vi vive, ci si appoggia e ci campa costituisce da un lato un esercito sempre pronto per adunate, cortei e manifestazioni, e dall’altro l’alibi per porre richieste economiche e ricatti di ordine pubblico.
Particolarmente divertente è l’ultima vicenda dell’occupazione di se stessi, avvenuta all’ex Mattatoio di Testaccio, dove si trova la Città dell’Altra Economia. Nel linguaggio proposto, e che necessita di traduzione, di “A sud”, “Comune Info” e del giornale comunista “Contro piano.org”, «Le progettualità e le attività che dal 2007 imprese ed associazioni hanno realizzato nei locali della Città dell’Altraeconomia sono patrimonio di tutta la città». Traduzione: nel 2007 il Comune aveva assegnato all’associazione temporanea di imprese ed associazioni (Ctm Altro Mercato, Pangea/Niente Troppo, Coin, Agricoltura Nuova e Aiab Lazio) 270mila euro per la promozione della Città dell’Altra economia, cioè per la comunicazione, promozione, diffusione, eventi e coordinamento segretariato della Città, (fine della traduzione). La decisione allora veltroniana seguiva ad un situazione confusa tra occupazione e progetti finanziati spot.
Quando per propagandare posizioni come la decrescita economica, gli acquisti etnici, i consumi equi secondo propri criteri, si ha bisogno di fondi e luoghi pubblici, fondamentalmente si chiede di finanziare la politica. Cosa che non si fa per tutti, ma per sé, soprattutto poi se la politica coincide strettamente con uno stile di vita. Gli ambientalisti sono riusciti a forza di campagne sul lardo di Colonnata e sugli Ogm a promuovere il biologico, che è entrato nei supermarket, come frutta e verdura di lusso. Una volta trovata una sostenibilità economica, nulla di male. Anche il medio acquirente i primi giorni del mese, quando è in quattrini, se vuole compra una melanzana a 4 euro, per poi tornare a verdure più normali gli altri giorni. Invece per loro ammissione, questi altri economisti senza i soldi di tutti erano addirittura costretti al volontariato, il che sarebbe già prova del fallimento di questa diversa economia.
Facilmente nascono gli screzi. L’associazione Aiab Lazio accusata di intascare e basta, e Agricoltura Nuova di pensare solo agli incassi della mensa. I puristi lamentano che gli altri siano traditori, fissati con il profitto, insomma “in orbita Legacoop”.
Siamo ai nostri giorni. La temuta e antidemocratica nuova amministrazione non chiude la Città ma indice una gara, che viene vinta solo dai coopisti. Come hanno fatto a vincere? Ci informa l’attenta informazione com-anticap. «Facile, promettendo ad Integra, cooperativa della destra rampelliana il 30% della partecipazione nella gestione degli spazi, in una logica di scambio clientelare e consociativo». Di fronte «allo scempio» i già assegnatari degli spazi dell’ex mercato (peraltro ottimamente collocato rispetto alla movida romana), non perdono tempo e si auto occupano. Quando i nuovi assegnatari con «una presunta lettera di assegnazione del Comune» si presentano alla Vitellara (presso la Sovrintendenza ai Beni Culturali) rivivono Novecento di Bertolucci e cacciano “i fascisti”. Si forma subito un Comitato di sostegno alla Città dell’Altra Economia, con cittadini (possiamo immaginare quali), che accorrono numerosi. Ovviamente la nuova gestione, costituita praticamente dagli stessi, non potrà che essere, secondo gli agit.prop, speculativa, motivata dalla perfida volontà di «di affossare e disperdere un’esperienza nata per promuovere l’economia solidale».
Uscendo da queste farneticazioni, è facile accorgersi che l’economia solidale significa diseconomia pagata da altri. Significa surrettizio finanziamento alla politica, peraltro figlio del ricatto dell’occupazione e dell’abusivismo culturale. Moltissimi sono i settori puntellati dalle tasse, dai giornali, al welfare alla formazione ma coincidono con interi settori economici e mantengono una quota maggioritaria di effettivo valore economico.
Integra opera soprattutto nel settore dell’immigrazione ed appartiene al mondo cattolico e della Cisl. Con la destra c’entra poco. Se il sindaco Alemanno non avesse fatto queste gare, che finiscono per costare mezzo milione l’una, avrebbe pensato di compromettere una politica comunitaria e sociale del territorio, parole molto in voga nell’entourage capitolino. Da sinistra sarebbe stato accusato comunque di ogni male possibile. Eppure se non le avesse fatte, se avesse chiuso tutte le città del sole, avrebbe liberato la comunità ed il sociale da costi e pesi pesanti. Inseguire sui temi dell’equo consumo, del chilometro zero, dell’altra cultura non paga.
Se ha colpa l’amministrazione, come d’altra parte spesso l’area di riferimento, è proprio quella di non essere capace di accettare lo scontro intellettuale, di mandare messi e vigili ad informare quanto costa da mille punti di vista l’abusivismo, l’occupazione, l’uso diretto ed indiretto dei soldi pubblici. Facile ricordare dei 10 milioni finiti a chiudere la pratica Casa Pound, che peraltro ha continuato ad attaccare il Campidoglio. Eppure, è preferibile regalare o distruggere un fabbricato, piuttosto che proseguire a vita con i costi di manutenzione e di fornitura. Non si vede ancora l’inversione di tendenza necessaria. Anzi, la tessera del tifoso stracciata dalla Cancellieri ribadisce che ad U non vuole girare nessuno, nemmeno il governo dei prefetti.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:55