
Potremo mai dire un giorno, raccontando favole terrificanti ai bambini, “C’era una volta la mafia”?
Dipende da quanto coraggio si possiede per il suo sradicamento. Prendo spunto da un mio editoriale del 2000, pubblicato da L’Opinione, e intitolato «Droga: una terza via tra legalizzazione e proibizionismo».
Il principio, per fare della mafia una favola del passato, era molto, ma molto semplice. La mafia, benché holding criminogena internazionale, risponde -come tutti gli altri soggetti che stanno su di un qualsiasi “mercato”- al meccanismo della domanda e dell’offerta.
Quindi, perché la mafia sia solo un ricordo, sarebbe bastato costruire (partendo dalla sua intimissima caratteristica di “industria della protezione”) una sorta di “algoritmo” finanziario-economico, che ne incapsulasse tutta la negatività e distruttività sociale all’interno di uno spesso “sarcofago”, impedendole così per sempre di irradiare la sua pericolosità nei territori.
L’intento era quello, da parte mia, di eliminare drasticamente lo spaccio di stupefacenti (droghe raffinate e quelle di sintesi) dalle strade, dai vicoli e dai luoghi di divertimento della città, assicurando un degno futuro alle giovani generazioni.
Dato che la droga è una “merce” fisica e una forma di profitto, per drenarla, prima che arrivi in strada, si sarebbe rivelato vincente offrire una valida alternativa economica, rendendone conveniente la cessione a un soggetto collettivo “sicuro”, senza procedere né alla vendita, né al consumo al dettaglio.
Proposi, allora, la creazione di uno “Sportello-ombra” (sotto il diretto controllo dello stato e senza addentrarmi in dettagli tecnici, pur approfonditi in altri saggi), al quale un soggetto terzo - uno studio legale, a esempio - conferisse la “sostanza”, senza alcun obbligo di dichiararne la provenienza.
Costui, in compenso, avrebbe ricevuto, all’atto del conferimento, una specifica “obbligazione” indicizzata che, alla scadenza prestabilita, dava diritto a una compensazione pari al valore nominale del titolo (assimilabile al prezzo medio di mercato per la sostanza conferita).
Tutto ciò a patto che tendessero a “zero” le statistiche relative alle tossicodipendenze, nonché quelle connesse ai reati di microcriminalità e dei sequestri ordinari di droghe raffinate e/o sintetiche. Nel caso che lo scarto tra i valori statistici -registrati all’atto dell’emissione dei “bond”, e quelli osservati alla data di scadenza dell’obbligazione - mostrasse un trend diverso da quello pattuito, il valore reale dell’obbligazione sarebbe sceso proporzionalmente, fino ad azzerarsi, nel caso che il fenomeno dello spaccio e del consumo di stupefacenti non avesse fatto registrare alcun miglioramento, alla fine del periodo di vita dei “bond”.
Ovviamente, osservavo come occorresse, preliminarmente, fissare i seguenti paletti: fissazione di un tetto massimo ai quantitativi annuali che potevano essere conferiti allo Sportello (pari, a esempio, a 10 volte le quantità sequestrate l’anno precedente a quello di emissione del bond); inasprimento con pesanti sanzioni penali e pecuniarie dei reati connessi alla droga; previsione di meccanismi premiali, a beneficio degli operatori delle forze di polizia, parametrizzati sul valore di mercato delle quantità di prodotto sequestrate, in modo da togliere al crimine organizzato ulteriori spazi di corruzione. La contropartita per il “mondo oscuro”, che sta dietro ai traffici di stupefacenti, era evidente: guadagni “puliti”, tali da minimizzare i rischi rilevanti, legati: alle operazioni di riciclaggio di valuta; all’azione repressiva, svolta dal sistema istituzionale; al mantenimento di una fitta rete di distribuzione al dettaglio.
E procedendo di questo passo, mi chiedo, oggi: perché non “ribattezzare”, tramite lo stesso Sportello, ma con una diversa tipologia di obbligazioni, i capitali che dovessero acquistare titoli “ad hoc”, emessi dallo Sportello stesso, indicizzati su qualcosa di perfettamente leggibile statisticamente sul territorio, come la crescita del Pil regionale/provinciale e, parallelamente, all’abbattimento delle statistiche sulla criminalità?
Pensate che bello: compito dei mafiosi, volendo riscuotere interessi pari alla crescita della ricchezza “vera” (quella connessa, cioè, alla nascita di “imprese pulite” e alla libertà di intraprendere a tutto campo, senza più timore di “pizzo” e di estorsioni), sarebbe quello di fare essi stessi “pulizia”, all’interno dei territori dove insistono i loro insediamenti illegali, abbandonando tutte le attività illecite (visto che con le pistole alle tempia non si fa reddito, se si vogliono davvero produrre beni che siano competitivi sui mercati internazionali!).
Lo stato, incassati i capitali “spuri” attraverso lo Sportello, garantirebbe, poi, il credito a tassi agevolati a imprese e investitori, per un importo complessivo pari all’ammontare delle obbligazioni emesse. Solo così (non credete?) potremmo, un giorno, raccontare ai nostri discendenti: “C’era una volta la Mafia”.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:09