Giannino, scelte difficili e responsabili

Esiste una “quarta via” tra svalutazione, default e super-imposta patrimoniale? Riassumendo all’osso queste ipotesi - peraltro - esse non appaiono così distanti, essendo tutte varianti del latrocinio: ai creditori (italiani e stranieri), ai consumatori, ai risparmiatori, ai lavoratori, ai proprietari o a tutti un po’.

Eppure una quarta via esiste. È il sentiero stretto delle scelte difficili e responsabili, una traccia di riforme complesse che si muova pericolosamente tra gli scogli delle facili ideologie “sintetiche” del populismo di una certa destra e del qualunquismo diffuso a sinistra. 

La quarta via è l’offerta all’opinione pubblica nazionale di un nuovo racconto, forse meno radioso e consolatorio della retorica che finora ha prevalso, ma più onesto e credibile: perché l’Italia torni a crescere e ad essere un bel posto dove vivere, lavorare e produrre, c’è da superare un modello sociale fondato sul debito pubblico, sull’assistenzialismo, su una redistribuzione massiccia e ingiustificata di risorse e sulla protezione normativa garantita al “lavoro tradizionale” (dai liberi professionisti agli operai di aziende medie e grandi, beneficiari i primi di enormi barriere all’ingresso nel settore e i secondo della rigidità del mercato del lavoro e di un welfare da cui sono inevitabilmente esclusi i più giovani). Accanto a questo, c’è da lavorare perché migliori la gestione dell’ordinario, dalla qualità della nostra scuola alla modernizzazione del sistema della giustizia, passando per tutte le applicazioni e i servizi pubblici che possono rendere lo Stato un buon alleato del mercato.

Perché l’Italia “ce la faccia da sola”, per dirla con Giavazzi ed Alesina, a prescindere dal ruolo più attivo che probabilmente la Bce deciderà di assumere, i prossimi mesi e i prossimi anni saranno cruciali. Governare questo paese, dal 2013 in poi, sarà un compito straordinariamente complesso, a cui gli attuali schieramenti politici appaiono impreparati, per usare un eufemismo. Stando alle ultime intenzioni dichiarate, il Pd di Pierluigi Bersani e i vendoliani di Sinistra e Libertà parteciperanno insieme alle prossime elezioni politiche, con il governatore della Puglia tra i candidati alle primarie per la selezione del candidato premier. 

Gli interrogativi sulla loro scelta sono enormi: come faranno - o farebbero - a governare insieme un partito che pochi mesi fa ha votato a favore della riforma delle pensioni di fine 2011 e una forza che apertamente ne chiede una revisione al ribasso? Inutile parlare del fronte opposto, quel centrodestra berlusconiano a cui vanno oggettivamente imputati l’immobilismo mostrato in materia di riforme economiche nell’ultimo decennio e la responsabilità storica di aver sciupato il dividendo dell’euro (l’abbattimento dei tassi d’interesse sul debito pubblico conseguito con l’adesione alla moneta unica): il ritrovato liberismo alle vongole del ri-nato Berlusconi galvanizzerà un elettorato fedele e acritico, ma il Pdl sarà con buone probabilità ridimensionato in termini elettorali e costretto all’opposizione.

Chi può fare le “cose difficili”, confessando agli elettori le “cose indicibili” e offrendo a quanti comprano il nostro debito (finanziando così le nostre scuole e i nostri ospedali) l’immagine di una classe politica all’altezza del compito che l’Europa intera chiede oggi all’Italia? Il programma delle cose da fare c’è, un elettorato in cerca di rappresentanza pure: manca il soggetto politico, il partito che non c’è, da offrire come proposta possibile tanto ai cittadini-produttori quanto agli outsider della società italiana, per usare una classificazione cara ad Oscar Giannino e agli altri sottoscrittori del manifesto “Fermare il declino”.

Occorre una nuova offerta politica - questa peraltro è la visione con cui è nata e sta crescendo l’iniziativa di “Zero+”, a nome della quale ho aderito all’appello “Fermare il declino” - che non sprechi l’occasione che l’esperienza del governo  Monti ha comunque offerto. 

Si può non condividere completamente la linea e le decisioni adottate dal governo tecnico nei mesi della sua vigenza, chiedendo maggior coraggio sull’abbattimento dello stock di debito e degli interessi passivi con un piano massiccio di privatizzazioni o criticando la timidezza delle liberalizzazioni e della riforma del mercato del lavoro, ma la rotta intrapresa è stata ed è quella della responsabilità e della serietà: una politica che taglia spesa pubblica, che riduce privilegi ormai insostenibili (superando l’intoccabilità dei dipendenti pubblici o la rigidità degli ordini professionali), racconta un’Italia possibile e auspicabile, i cui pilastri siano la libertà di mercato, la disciplina fiscale e istituzioni il più possibile equidistanti dai blocchi corporativi che ipotecano le prospettive di crescita e innovazione.

A giudizio di chi scrive, il partito che non c’è - se riuscirà ad esserci - dovrà porsi la sfida del governo reale, senza cadere nella tentazione di testimoniare un’eccezione e poco più. Sarebbe un errore fatale. 

Insomma, a partire dai promotori di “Fermare il declino”, bisogna evitare l’illusione che si possa bastare a se stessi: per il 2013 serve un soggetto politico-elettorale “a vocazione fattiva” e ad ambizione maggioritaria, non il ridotto dei duri e puri. 

Guardando più a dove vorremo stare domani e non a dove ognuno di noi è stato ieri, per dirla con il mio amico Marco Faraci.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:04