Pazza idea: Alfano candidato in Sicilia

A febbraio scrissi: «Trentino e Sicilia, negli anni Cinquanta avevano lo stesso Pil pro capite. Nel 2011 il primo ha doppiato la seconda. In 30 anni di legalità il Pil siciliano su quello nazionale è crollato dal 7,5% del ‘60 e dal 6,2 % del ‘90, al 5,6 % del 2009 (87,8 miliardi). Lasciamo stare le solite irregolarità per i fondi europei rilevate dalla Corte dei conti, i 5mila docenti ed i 6mila burocrati universitari, i 9000 abbandoni prima della licenza media, l’evasione fiscale altissima, le aliquote ancora più alte, un bilancio regionale da 25 miliardi, quasi come la Lombardia, destinato ad altre Pal per il 65% ed alla regione stessa per il 30%, 3 miliardi di deficit e l’inspiegabile avanzo finanziario di i 10 miliardi.

Quel che strano è che una regione a quota 50% di famiglie a rischio povertà ed al 15% di disoccupazione ordinaria, importi tantissimo, praticamente tutto, il 25% rispetto all’intero Sud (92 miliardi). In pochi decenni, ha notato l’Isvez, si è passati dall’800 ad un livello di reddito paragonabile al Centro-Nord. Come una piccola Russia senza materia prima». Questo è lo stato della Sicilia, da decenni. Uno status quo equilibrato che va bene, benissimo ai suoi abitanti, che erano l’8,9% degli italiani nel 1997 ma sono il 9% dal 2010 e saranno il 9,1% nel 2020. Al contrario dei 2 milioni di calabresi e sardi, dei 4 di pugliesi, tutti in sistematico calo, i siciliani superano in crescita i 5 milioni. L’emigrazione cala, la natalità tiene più di quella nazionale e poi c’è da aggiungere l’endemica immigrazione esterna. Monti e Lombardo hanno fatto pace dopo le reciproche accuse del potenziale crack regionale e delle assunzioni pubbliche fatte in barba alle norme nazionali da un lato e del mancato miliardo che Roma deve a Palermo.

La Confindustria siciliana ha sorpreso tutti, cambiando passo, dall’epica lotta degli imprenditori contro la mafia dell’era Marcegaglia, all’accusa diretta all’istituzione regionale ed alla sua burocrazia. Il dibattito sulle sorti dell’autonomia regionale è durato pochi attimi, senza riuscire a essere cosa seria. Lo si capisce bene dagli eventi: l’intento del premier Monti era solo quello di rimandare le elezioni regionali i cui effetti sarebbero pericolosi sugli equilibri attuali quanto quelli di elezioni nazionali. Esiste, per le ragioni più diverse, un ampio partito del non voto. In particolare il voto siciliano potrebbe essere mortale per la minuscola area centrista che dopo aver cercato di fare da pacificatrice, di estendere benefit impossibili alle famiglie, ha sposato le sorti della nuova destra storica antipopolare, del nuovo governo della tassa sul macinato. Come si ricorderà l’area centrista è in Parlamento solo grazie al voto siciliano, un voto democristiano e di destra che è stato umiliato più volte dalle locali magistrature che hanno sistematicamente abbattuto con arresti e condanne i post-Dc isolani dell’Udc ed hanno messo sotto accusa i diversi governi del presidente Lombardo il cui movimento autonomista è erede del mondo democristiano di cui sopra. Non è nemmeno un caso la corsa di Fini a Palermo.

Un eventuale buon risultato del suo candidato Fabio Granata sull’improbabile posizione giustizialista-montista potrebbe fermare lo scioglimento nel nulla del suo impalpabile partito. Una serie di interventi esterni hanno dunque rivoltato come un guanto il voto siciliano che dalla schiacciante maggioranza di centrodestra si è trovato al governo una pezza a colore di postdemicristiani e postcomunisti. Allo sguardo laico, la destra siciliana, basata sul dare lavoro pubblico con le rimesse dello stato nazionale, non appare meglio di una sinistra siciliana che farebbe lo stesso, mettendo però in galera tutta la controparte politica. Allo sguardo laico le accuse sui termovalorizzatori progettati o meno con la mafia dal precedente presidente Cuffaro appaiono quanto meno sibilline. Chiunque la faccia e comunque venga fatta, la realizzazione dei termovalorizzatori in terra sicula sembra un miracolo destinato a non realizzarsi mai. Allo sguardo laico sembrano inutili e pretestuose tante campagne sulla mafia, che per sua natura cresce nei paesi occidentali più ricchi. Senza capitalismo, senza sviluppo, con un’economia praticamente tutta di assistenza esterna, con scambi infiniti tra infiniti enti pubblici e privati, di proprietà o concessione pubblica, l’animo laico interpreta la Sicilia come ha scritto Vittorio Feltri: un caso disperato, un buco senza fondo per il paese, una situazione voluta dai siciliani e che con la mafia c’entra fino ad un certo punto.

Quanto scritto da Feltri, ovviamente ha ricevuto enormi contumelie da sinistra, da tutto l’arco politico meridionale nell’assoluta assenza di una parola di sostegno. Eppure le tante formazioni laiche, liberali e nazionali che sono spuntate fuori come funghi, potrebbero bene riprendere il tema. Chiedersi perché la Sicilia è autonoma. Ricordarsi delle vicende rocambolesche sul partito secessionista. L’immancabile retorica su Portella della Ginestra, portata alle sue conseguenze ultime, vorrebbe la fine dell’autonomia, voluta nel mito, da quei baroni che ordinarono di sparare sui lavoratori. Probabilmente non furono i baroni a pretendere l’autonomia, ma importanti gruppi della politica Usa. Sono passati molti anni dalla sconfitta ormai. Si potrebbe ben pretendere che una regione che oltre l’autonomia ha bisogno di diverse decine di miliardi l’anno, rientri nei ranghi. Oppure in alternativa un referendum potrebbe chiedere ai siciliani di scegliere: autonomia anche più ampia e neanche un soldo; oppure aiuti e rientro tra le regioni ordinarie. Sempre lo sguardo laico chiederebbe uno sforzo d’onestà a chi guida un gruppo di deputati con i voti di uno finito in galera; per di più con voti indirizzati ad una politica opposta a quella praticata.

La richiesta di dimissioni in blocco dovrebbe essere quotidiana. Da ultimo uno sguardo laico non potrebbe non indirizzarsi ai tanti siciliani presenti ai massimi livelli sulla scena nazionale, numerosi come i georgiani dei governi stalinisti. Proveniendo da un territorio non malridotto, ma molto male abituato, l’invito a occuparsene, semza badare ai fatti nazionali, viene immediato, Non si capisce perché, con l’esperienza maturata di un mondo tanto lontano dalle best practises, si potrebbe ben governare contesti e situazioni fuori dalla propria portata culturale, istituzionale ed economica. Gran parte delle istituzioni ha dei comportamenti così fuori dal buon senso e dalla banale capacità di conservare la minima coesistenza sociale, che viene il dubbio il problema stia nell’ordine culturale di visioni, ragionamenti e pensieri medioevali.

L’occasione di rivedere quindi l’automomia siciliana non deve essere fatta cadere. È uno dei motivi del debito pubblico, è motivo di spread oggi, ieri e domani. La Sicilia ha bisogno di tagli totali per il suo corpo dirigente altissimo, alto e intermedio. Ha bisogno di aiuti di base per la sua povera gente. Ha bisogno di liberarsi da se stessa. Possono farlo i siciliani. In questo sensoè sicuro che Alfano sarà più utile nella competizione siciliana che a Roma a guidare un partito la cui forza sostanziale sta in altri territori. Chissà che i laici saranno conseguenti. Difficile, essendosi abituati a misurare il laicismo su uno strano mix elitario-progressista, il più lontano possibile dalla realtà.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:00