E Palermo divenne come Beirut

Sovente la mano mafiosa ha colpito d’estate, quando la meravigliosa terra di Sicilia è così calda da togliere il fiato. Rocco Chinnici, giudice istruttore e “papà” del famoso pool antimafia di Palermo, morì il 29 luglio 1983 davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico a Palermo, proprio d’estate, così come tanti altri servitori dello Stato prima e dopo di lui. La strage che uccise Chinnici e gli uomini della sua scorta, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, stroncò la vita anche a Federico Stefano Li Sacchi, portiere dello stabile dove viveva il consigliere istruttore. L’ordigno che sventrò via Pipitone Federico colpì tutta l’opinione pubblica di allora per l’efferatezza e la devastazione dell’evento, portando la stampa a confezionare paralleli con le dinamiche di morte che, tra il 1975 il 1990, insanguinarono Beirut durante la terribile guerra civile libanese.

La morte di Chinnici colpì duramente al cuore tutti gli uomini del Pool, anche perché sulla carta, Falcone e Borsellino, già molto attivi sotto la guida dello stesso Chinnici, erano due bersagli più appetibili per Cosa Nostra, almeno apparentemente… Infatti, come intuì lo stesso Borsellino, la mafia aveva colpito il consigliere istruttore Chinnici perché, attraverso la sua morte, era ben consapevole di poter recidere non una diramazione del Pool, bensì, la mente principale di tutte le azioni antimafia che proprio nei primi anni ’80, attraverso l’osmosi tra impegno legislativo e giudiziario, erano state determinanti per avviare una nuova stagione di legalità, strada maestra per il successivo maxi-processo a vertici e gregari di Cosa Nostra.

Chinnici era arrivato all’Ufficio Istruzione di Palermo nel 1979, subentrando al giudice Cesare Terranova, anche lui ucciso barbaramente in un agguato di mafia il 25 settembre dello stesso anno. Chinnici, chiamando a sé Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e altri validi magistrati, impose una serie di cambiamenti epocali sulla conduzione delle indagini antimafia che, ben presto, meritarono anche l’elogio degli americani i quali videro nell’Ufficio istruzione di Palermo “un centro pilota della lotta antimafia”. Quindi, ciò che emerge dal ritratto professionale del magistrato di Misilmeri, è l’alta capacità dimostrata nel traslare all’interno dell’Ufficio Istruzione da lui diretto idee di coordinamento delle indagini e di condivisione delle idee e delle informazioni già presenti, ad esempio, nella lotta contro il terrorismo brigatista. L’abilità che dimostrò nel farle accettare e implementare dai suoi “discepoli” non fece altro che far crescere l’incisività generale dell’azione antimafia italiana. Il suo impegno, però, non si limitò al contrasto a Cosa Nostra ma s’allargò anche a tematiche, come quelle legate alla droga e al suo uso da parte dei giovani, molto attuali in ogni zona della nazione. Le sue convinzioni lo portarono a partecipare, come relatore, a congressi e convegni giuridici e socio-culturali, durante i quali manifestò palesemente una delle sue più grandi convinzioni: parlare ai giovani della mafia, portarli ad una reale conoscenza del fenomeno e delle sue complicate sfumature.

Fu proprio Chinnici, primo magistrato a lavorare in tal senso, a recarsi negli istituti d’istruzione italiani per incontrare le scolaresche e promuovere un’azione antimafia tra studenti e docenti siciliani e non. L’attentato che ne stroncò l’esistenza materiale non limitò la sua azione, continuata con impegno e professionalità da Antonino Caponnetto, suo successore all’Ufficio Istruzione di Palermo.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:09