Patto Pd-Udc risposta allo stato-mafia

Il Pd di Bersani e l’Udc di Casini si sono stretti in un abbraccio storico, epico. Ora è legittimo che l’elettorato italiano si chieda chi sarà tra Pierferdy e Pierluigi il futuro leader da designare come premier. Già, dimenticavamo che la politica è sempre un passo avanti al popolo: entrambi farebbero un passo indietro a favore d’un Monti bis politico. È evidente che un siffatto abbraccio di fatto precluda al dialogo con l’Italia dei valori, con Di Pietro. E perché che c’azzecca l’Udc con l’Idv? Soprattutto come potrebbe mai il Pd fare una campagna elettorale toccando le note più alte dell’antimafia, ed avendo a proprio fianco l’Udc, il partito con più esponenti politici indagati e condannati per mafia? L’Udc è in fondo un partitino, forse non supera l’8%, però determina le maggioranze in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, dove localmente rinnova le abitudini politiche che Peppino Impastato condannava come “politica mafiosa”.

Oggi il Pd che, almeno a parole, dice d’aver introiettato la lezione di Impastato al punto da farne parte del proprio programma, stringe un patto d’acciaio con Casini. A questo punto Bersani dovrà spiegare all’elettorato di sinistra (e non solo) che l’Udc non è erede di quella Democrazia cristiana che avrebbe consigliato alla mafia d’uccidere Impastato, perché il giovane attivista infastidiva con un programma radiofonico i grandi elettori Diccì palermitani, impegnati nelle speculazioni edilizie e nello sfruttamento bracciantile. Lungi dall’accusare Bersani di volersi dividere con Casini il sostegno di quei “grandi elettori” ormai sparsi su tutto lo stivale, ed anche all’estero: non facciamo mistero del fatto che italiani nel mondo, siciliani nel mondo, calabresi nel mondo... tifino in gran parte per il vecchio Scudo crociato. Che bella società, pardon, che onorata società quella tra Udc e Pd. Ma il lettore potrebbe tornare a chiedersi che c’azzecca la mafia con i due Pier (sia Casini che Bersani sono emiliani purosangue). Niente.

Ma non possiamo dimenticare, ed in queste ore di nuove febbrili polemiche sulla “trattativa stato-mafia”, che nel 2000 i rapporti tra cooperative rosse (emiliane) e mafia portarono ben quindici ordini di custodia cautelare, su iniziativa della procura della Repubblica di Palermo. Lungi dal voler sostenere che le difficoltà delle politiche 2013 richiedano l’intervento corroborante di “Cosa nostra”, non possiamo dimenticare che, nei giorni successivi all’aprile 1982 e all’uccisione di Pio La Torre, l’allora procuratore capo di Palermo (Vincenzo Pajno) puntava il dito verso la pista interna al Pci. Vincenzo Pajno confezionava una apposita conferenza stampa, in cui parlava delle spartizioni tra coop rosse e mafia. All’epoca si ventilava circa pressioni romane, e perché la pista aperta da Pajno venisse abbandonata: anzi venne bollata come “un depistaggio”. Che il vecchio Pci avesse in Sicilia rapporti consolidati con grandi imprenditori e importanti mafiosi è storia risaputa. Qualche notabile ne parlava in giro con la massima disinvoltura, e per ammantare di filo-governativo il partito dei lavoratori. Napoleone Colajanni aveva addirittura raccontato con orgoglio d’aver preso i soldi “di persona, ma per il partito quando ero segretario della federazione di Palermo”. Ma anche altri prendevano soldi dalle stesse persone: soprattutto la Diccì aveva organizzato con la mafia che anche il Pci capisse l’importanza di mangiare dallo stesso piatto. I comunisti sostenevano fosse giusto e utile prendere quei quattrini per rafforzare il partito del proletariato.

E la Diccì era contenta, perché aveva fatto assaporare un po’ di Occidente ai discepoli di Mosca. «I soldi venivano consegnati interamente al partito e questo è moralmente ineccepibile», ripeteva Colajanni ai suoi compagni. Ma questa è una verità farisaica, degna di chi ha servito il Pci e non l’Italia, la Diccì e non l’Italia. L’elettorato si starà chiedendo se fossero a tal punto compromessi da provare dispiacere alla sola idea di non augurarsi un futuro patto stato-mafia? Hanno servito i loro partiti, godono di lussuose pensioni e, per un mero incidente di percorso, ora finiscono sul registro degli indagati. Molti di loro plaudono all’accordo tra Pd e Udc: avrebbero voluto vivere come giovani Pier (Ferdy o Luigi) questo epico 2013. Il povero Peppino Impastato, che aveva veramente lottato contro la mafia, è finito sotto terra. Ma il cinismo del momento chiede che il Pd sventoli il nome di Impastato, e che si dia a bere all’elettorato che Bersani incarni oggi la lotta alla mafia, ed in buona compagnia di Casini (genero di Caltagirone non certo di Impastato). E mica il Pci stava in Sicilia a pettinare le bambole o a tirare palline di pane ai colombi: quel Pci prendeva le tangenti dai mafiosi per edificare i nobili ideali del comunismo. L’elettorato si starà chiedendo se sia giusto che, forze politiche platealmente in lotta contro le mafie, adottino metodiche degne della migliore illegalità. Nell’ottobre del 2000, il Tribunale della Libertà s’esprimeva così a proposito degli indagati dalla Procura di Palermo: «Le cooperative rosse hanno stipulato accordi con i più alti vertici dell’associazione mafiosa per la gestione degli appalti pubblici». Sappiamo benissimo che le responsabilità penali sono personali, ma il Tribunale aveva usato il termine “cooperative rosse” alla stessa stregua di mafia o ‘ndrangheta. Non venivano chiamati in causa i singoli, bensì un sistema associativo contemplato nella Carta costituzionale (le cooperative). Decollava ai più alti livelli istituzionali un tamtam per mettere una pezza a questa vicenda.

Quasi che indagare sulle coop rosse fosse una sorta di lesa maestà. Nel febbraio 2001 venivano addirittura sequestrati beni e patrimoni delle coop. Addirittura un imprenditore del Pci venne considerato “anello di congiunzione tra mafia e Ds” e venne accusato di “concorso in associazione mafiosa”. In quella stessa Sicilia oggi viene nuovamente sollevato il polverone del patto “stato-mafia”. E nell’Isola, con molta probabilità, verrà rodato elettoralmente il patto Pd-Udc: diranno che il loro programma viene da lontano, che somma gli scritti di Impastato, Borsellino, Falcone... e tanti ci cascheranno e li voteranno. È un patto che viene da lontano, e si rinnova come nelle migliori tradizioni.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:17