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Giorni fa l’onorevole Pier Ferdinando Casini ha affermato: «Se come cittadino mi trovassi a essere giudicato da Ingroia, avrei qualche preoccupazione in più, a prescindere dalla mia colpevolezza o innocenza». L’immediata reazione di alcuni “rigoristi” è la conseguenza di una visione del tutto particolare dell’ordine giudiziario e del suo modo di agire. 

Questo pensiero, infatti, si basa sulla considerazione che non bisogna “disturbare il manovratore” perché esiste la prerogativa dell’indipendenza dei magistrati. Non è così. L’indipendenza degli operatori di giustizia è un diritto dei cittadini e un dovere per quanti, pm o magistrati giudicanti, amministrano le aule dei tribunali. Ed è per questo che io condivido il pensiero di Casini. Non è in discussione la capacità professionale del dottor Ingroia. Ciò che non piace è il suo protagonismo in assemblee pubbliche dove ha espresso giudizi sprezzanti sulla politica in generale e sui politici in particolare.

Tant’è che in previsione di un suo trasferimento in Guatemala, ha dichiarato che avrebbe lavorato più volentieri in quel Paese piuttosto che in Italia... Visione questa garbatamente contestatagli anche dal presidente Fini, ritenendola ingiusta per il rischio di cadere in generalizzazioni. È questo modo di apparire al di fuori delle proprie competenze funzionali che, aggiungendosi a una serie di errori compiuti nel nostro Paese, soprattutto a seguito di cautele giudiziarie limitatrici della libertà prima dell’acclaramento di una qualche reale responsabilità penale, provoca ormai una diffusa sfiducia nei confronti della magistratura. Lo confermano alcuni dati: sono 28mila le persone recluse in attesa di giudizio.

La metà sarà ritenuta innocente. Mentre a livello europeo i detenuti in attesa di processo sono il 25% della popolazione carceraria, l’Italia supera di gran lunga questo dato e si riconferma maglia nera dell’Europa. Per fortuna abbiamo magistrati giudicanti che, operando silenziosamente, con grande capacità professionale, sanno non cedere alle pressioni di pm amanti di notorietà e visibilità. Non dimentichiamoci che siamo in un campo di una delicatezza unica, perché privare ingiustamente o erroneamente della libertà un cittadino, lascia sulla sua persona una macchia indelebile che lo perseguiterà per tutta la vita.

Parafrasando Martin Luther King, secondo il quale «il 90% dei politici rovina il buon nome di tutto l’altro 10%», potremmo dire che spesso il 10% dei magistrati, rovina il buon nome di tutto l’altro 90%.

*Eurodeputato di Fli

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:54