Rai, lettera aperta al Cda

Cara Dottoressa Tarantola, il Consiglio di Amministrazione della Rai ha approvato il conferimento di deleghe in capo alla Sua funzione concernenti i limiti di spesa (6 voti favorevoli e 2 astenuti) e quelle riguardanti le nomine dei dirigenti di primo e secondo livello dei settori non editoriali (5 voti favorevoli e 3 astenuti). Lei, confermando alta sensibilità istituzionale, non ha preso parte alla votazione. Vengono ampliati i poteri del presidente, consentendo di approvare, su proposta del Dg, gli atti e i contratti aziendali, che comportano una spesa superiore ai 2,5 milioni di euro e fino ai 10 milioni di euro e di nominare i dirigenti di primo e secondo livello non editoriali.

Il resto delle nomine sarebbero di competenza del cda e riguarderebbero (sia per la tv che per la radio) le direzioni di canale (come Rai1, Rai2, Rai3), di genere (come “intrattenimento” o “fiction”) e di testata (come Tg1, Tg2, Tg3). Sembra poi che spettino sempre al Consiglio di Amministrazione anche le nomine delle direzioni Nuovi media, Marketing e Rai Teche. Il suo compito si presenta molto più difficile che governare la Banca d’Italia. L’ostacolo principale non saranno le proteste dei cosiddetti precari, dei dirigenti che subiranno il turnover, della moltitudine di coloro che chiederanno un incarico o un affidamento. Ma sarà l’Usigrai (Unione Sindacale Giornalisti Rai), quel finto sindacato apoliticizzato, indipendente ed autonomo, presidio del servizio pubblico radiotelevisivo, governato da eretici alla nutella della rigida ortodossia di partito, incarnazione parasindacale delle logiche della presa del potere a tutti i livelli.

Le racconteranno che “l’informazione è come l’acqua, deve essere di tutti”. Le presenteranno il “manifesto per la difesa del servizio pubblico radiotelevisivo” (con l’avallo di Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale). Le formuleranno un appello per chiedere che il servizio pubblico “garantisca il diritto fondamentale all’informazione e alla cultura” e “persegua gli interessi della collettività e non quelli di una parte”.

Le indicheranno che i sostenitori della privatizzazione in questi anni non hanno mai smesso di portare avanti il loro disegno e il conflitto di interesse, che ha ingabbiato la Rai, ha spianato loro la strada, nonostante la mancanza di editori puri sia nella carta stampata che nel settore radiotelevisivo, con la conseguente moltiplicazione dei conflitti di interesse. Le rappresenteranno che i cittadini possono essere alleati preziosi del buon giornalismo e difendere il diritto ad essere informati significa difendere il diritto a scegliere ed a decidere. Il solito elenco di buone intenzioni, di lodevoli proponimenti, di esaltazione di tutto ciò che è azienda pubblica per gestire e collocare i propri uomini senza rischiare un euro, con i soldi dei cittadini che vogliono a parole tutelare e difendere (vedi la proliferazione della casta universitaria, delle lotte contro i tagli alle Regioni ed enti locali).

L’Usigrai dalla sua prima costituzione mai ha promosso un direttore, un giornalista che non appartenesse alla parte politica a cui è legata (imitando bene la Fiom), con la solita sequela di chiacchierati alti principi e valori: “passare dalla Rai dei partiti alla Rai dei cittadini”, un passo necessario per garantire una democrazia piena; il giornalismo cane da guardia dei poteri; liberi dai poteri forti per non essere sottoposti a censure. La libertà di informazione è un bene prezioso. Peccato che non dicono che per essere liberi occorre cancellare nel servizio pubblico proprio l’Usigrai, organizzazione di riferimento delle forze politiche di sinistra, votata alla occupazione totale del servizio pubblico, attraverso una reiterata distorsione delle realtà contro i non appartenenti al sindacato unico, modulando un esercizio dialettico ad intermittenza secondo convenienza per la presa del potere a tutti i livelli, collocando i fidi adepti nei posti di comando.

Per colpire un direttore o un dirigente non gradito la formula è sempre la stessa: comportamento antisindacale; cancellazione di spazi di informazione dai palinsesti, senza comunicazioni né ai cdr né all’Usigrai, raccolta di firme di “sfiducia” verso questo e quello non gradito, con minaccia di far intervenire il presidente della Vigilanza, nonché la Corte dei conti, per danno erariale. Ovviamente l’Usigrai si definisce come il sindacato unico e unitario, che rappresenta tutti i colleghi e non solo una parte. Proprio perché è il sindacato unico sarebbe il caso di dubitare della onestà a difendere tutti i giornalisti Rai, ma forse per “unico” intendono affermare che per virtù divine non possono consentire alternative.

L’altro ostacolo al rinnovamento sarà proprio il nuovo direttore generale Rai, Luigi Gubitosi, con contratto a tempo indeterminato e uno stipendio di 650mila euro annui, con un futuro assicurato, oltre ogni ragionevole dubbio. Sembra in violazione dell’art. 29 dello Statuto Rai che equipara la durata dell’incarico del direttore a quella del Consiglio d’amministrazione e non in linea con il tetto agli stipendi dei manager di aziende pubbliche fissati dal presidente del Consiglio Monti, con proprio decreto, il 23 marzo scorso. Non sarà facile contenere le spese e risanare i conti con queste premesse, anche se la presidente Tarantola si è ridotta volontariamente lo stipendio.

Il neo direttore generale dovrà giustificare proprio questo improvvido compenso ed allora cercherà, come è logico, di trovare alleanze, concedere favori, crearsi clientele e consensi, intrattenere accordi con quelli che in Rai da sempre comandano, venire a patti, in particolare con l’Usigrai. Quando il nuovo è tinto di vecchio è peggio del vecchio originale. Come è accaduto per la prima Repubblica che oggi viene rimpianta da molti che la osteggiavano.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:11