La Consulta boccia la Polverini

I sogni del marchio made in Lazio, a metà tra il “corporativismo de noantri” di Renata Polverini e la pretesa tutela del consumatore regionale, sono da considerarsi incostituzionali. Così come è stata dichiarata, previa censura, la legge della Regione Lazio 5 agosto 2011, numero 9 (Istituzione dell’elenco regionale Made in Lazio – Prodotto in Lazio). Il ricorso era stato promosso, quando c’era ancora l’ultimo governo Berlusconi, dalla presidenza del Consiglio dei ministri. E la cosa in sè forse spiega molto sulla mancanza di omogeneità e idem sentire tra l’amministrazione centrale e quelle regionali, pur sostenute da maggioranze sulla carta identiche. Spiega anche molto sul fallimento del progetto politico leghista del federalismo e sull’analoga e costante bocciatura di ogni frutto del cambiamento del titolo quinto della Costituzione effettuato all’epoca del governo Amato nel 2000-2001 a colpi di maggioranza e poi confermato dagli italiani con un referendum popolare.

Oggi, a detta di tutti i costituzionalisti (ultimamente ha avuto luogo un convegno ad hoc prontamente trasmesso da Radio radicale), quel titolo quinto in Costituzione è da riformare per il continuo contenzioso generato tra leggi regionali e costituzione. E infatti a ogni infornata di sentenze della Consulta, almeno la metà riguarda dichiarazioni di incostituzionalità di leggi regionali (o di altri enti locali) su questo o quell’argomento. Con una difficoltà estrema di contemperare le competenze degli enti locali e quelle statali. Ad esempio, nello stesso giorno in cui veniva bocciato il corporativismo del marchio “made in Lazio”, la Consulta bocciava anche una buona parte della legge regionale dell’Abruzzo del 2011sul bilancio e di quelle del Friuli Venezia Giulia e della Sardegna che riguardavano invece la formazione dei rispettivi bilanci per il 2012 e il 2013. La legge voluta dalla Polverini ammiccante a un marchio “made in Lazio”, nella fattispecie, è stata censurata con la seguente motivazione: «Mirando a promuovere i prodotti realizzati in ambito regionale, garantendone siffatta origine, produce, quantomeno “indirettamente” o “in potenza”, gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci che, anche al legislatore regionale, è inibito di perseguire per vincolo dell’ordinamento comunitario. E ciò, di per sé, ne comporta la declaratoria di illegittimità costituzionale».

Infatti, «le disposizioni degli articoli da 34 a 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) – che, nel caso in esame, rendono concretamente operativo il parametro dell’articolo 117 della Costituzione – vietano agli stati membri di porre in essere restrizioni quantitative, all’importazione ed alla esportazione, e qualsiasi misura di effetto equivalente». Quale era stata la “furbata” subito “tanata” dalla Corte su input del governo Berlusconi?Quella di istituire un elenco regionale “made in Lazio” prevedente la realizzazione di un apposito elenco, disponibile sul sito istituzionale della Regione, articolato in tre sezioni destinate a distinguere (sotto le voci “Made in Lazio – tutto Lazio”, “Realizzato nel Lazio” e “Materie prime del Lazio”) rispettivamente “i prodotti lavorati nel territorio regionale con materie prime regionali, quelli lavorati nel Lazio con materie prime derivanti da altri territori, e le materie prime appartenenti al Lazio commercializzate per la realizzazione di altri prodotti”. Fatica inutile, quella legge adesso non esiste più.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:06