L'ira del Colle fa tremare Palermo

L’ira del Quirinale si abbatte sulla Procura di Palermo. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha affidato all’Avvocatura generale dello stato l’incarico di sollevare, davanti alla Corte costituzionale, il conflitto di attribuzione nei confronti della procura del capoluogo siciliano.

Al centro dello scontro vi è la decisione dei pm di Palermo di valutare con le parti, avvocati difensori e gip, l’irrilevanza penale delle dichiarazioni del presidente della Repubblica intercettate durante le conversazioni con l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, già vice presidente del Csm, indagato per falsa testimonianza nell’inchiesta sulla presunta trattativa stato-mafia. Una presa di posizione durissima, quella di Napolitano, che ha considerato le decisioni assunte dalla procura , anche se riferite a intercettazioni indirette, «lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione». Prerogative che tutelano l’organo più importante che la Costituzione pone ai vertici dello stato. Se quelle intercettazioni sono irrilevanti, sostiene il Quirinale, vanno distrutte. Infatti, secondo l’articolo 90 della Costituzione e l’articolo 7 della legge del 1989, salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione, le intercettazioni di conversazioni del capo dello stato, ancorché indirette od occasionali, sono assolutamente vietate. Pertanto, non possono essere utilizzate o trascritte e di esse va chiesta l’immediata distruzione.

La decisione di sollevare il conflitto si è abbattuta come un fulmine sulla procura di Palermo. Il procuratore capo Francesco Messineo non appena appresa la notizia ha convocato un vertice con i titolari dell’indagine sulla cosiddetta trattativa (chiusa lo scorso 14 giugno e non firmata da Messineo). «Siamo sereni e tutte le norme a tutela del presidente riguardo a una attività diretta a limitare le sue prerogative sono state rispettate», ha dichiarato Messineo che ha parlato di «un’intercettazione imprevedibile, inaspettata». Chi ascoltava le utenze di Mancino, perché non ha immediatamente interrotto il contatto così come prevede la legge nel caso in cui un’intercettazione, sebbene indiretta, riguardi il capo dello stato? Già lo scorso 21 giugno Napolitano aveva duramente replicato alla pubblicazione delle intercettazioni apparse su alcuni quotidiani, ritenendole «interpretazioni arbitrarie e tendenziose e talvolta persino manipolate». E se Messineo usa la diplomazia e ribadisce che non c’è stata nessuna violazione all’immunità del capo dello stato, il fatto in sé resta comunque gravissimo.

La questione sollevata dal Quirinale non è attinente alla persona del presidente Napolitano, ma è istituzionale e come tale va chiarita nella sede competente, perché non si ripetano nel futuro episodi del genere che possano intaccare le prerogative costituzionali della presidenza della Repubblica.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:54