Amato: «Inconcepibile trattare con la mafia»

All’indomani delle polemiche sul “caso Nicola Mancino”, il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, aveva detto: «vogliamo la verità sulla resa dello stato alla mafia nel ‘93 e nel ‘94, quando furono cancellati centinaia di provvedimenti riguardanti il carcere duro ai capi cosche».

«Da Nicolò Amato, che fu rimosso dal vertice penitenziario - aggiungeva Gasparri - giungono ulteriori conferme. Non sarà l’indignazione della figlia di Scalfaro ad impedire l’accertamento della verità. L’allora presidente della repubblica svolse un ruolo di primo piano in questa vicenda sconcertante. Ed anche i balbettamenti di Mancino non dissolvono i sospetti che gravano sui governi dell’epoca, che furono guidati da Giuliano Amato e da Carlo Azeglio Ciampi. Sono queste le persone che devono dire la verità. Ci fu un tentativo dissennato di dare segnali positivi alle organizzazioni criminali che avevano compiuto stragi orrende. Alcuni protagonisti sono scomparsi, ma ce ne sono di vivi - sottolinea il presidente dei senatori Pdl - che possono e devono dire quello che sanno. Per molti anni c’è stato un tentativo ignobile di addossare ad ambienti politici, assolutamente estranei ad ogni trattativa o cedimento, le responsabilità che invece gravano su coloro che guidarono l’Italia dal ‘92 alla fine del ‘93». E la domanda che l’uomo di strada si pone è cosa volesse ottenere la mafia dallo stato: solo l’ammorbidimento del 41bis o anche altre garanzie? È innegabile che il 41bis rappresenti l’involuzione delle nostra civiltà giuridica: una sorta di tortura su presunti capi mafia che certamente non garantisce la vittoria certa dello stato sulle organizzazioni criminali. Non è poi un mistero che la mafia abbia sempre annoverato tra le proprie fila ministri, sindaci, presidenti d’enti e regioni, assessori e leader politici. Ergo qualche pezzo dello stato forse tifava troppo per l’antistato. E chissà quanti patti criminosi sono stati fatti per costruire aeroporti, strade, porti: forse preferiremmo non saperlo. «Nessuna trattativa può essere immaginata neanche lontanamente tra stato e mafia. Qualunque dialogo tra le istituzioni e chi è contro le istituzioni è inquietante e illecito, non deve esistere. Se esiste una cosa del genere è molto preoccupante», affermato Nicolò Amato (ex capo del Dap) a margine della presentazione del suo libro I giorni del dolore - La notte della ragione. «La trattativa stato-mafia - ha spiegato Amato - è una cosa che non dovrebbe neanche essere concepita, ancora più che con il terrorismo, perché la mafia è davvero criminalità allo stato puro, mentre il terrorismo ha una patina ideologica, anche se delirante. Con i terroristi rossi e neri in carcere parlare era possibile perché c’erano delle idee, anche se sbagliate. Con i mafiosi il dialogo non è immaginabile. La mafia è ricerca di potere e ricchezza con mezzi illeciti». Nicolò Amato ha aggiunto che «come magistrato ho vissuto l’esperienza del sequestro Moro, e a quel tempo si è parlato di una trattativa. Vi erano delle parti politiche, delle persone, che sostenevano la necessità di liberare alcuni detenuti, brigatisti rossi, per ottenere la liberazione di Moro. Prevalse allora il partito della fermezza. Per quanto dolorosa questa scelta possa essere stata, era giusta perché lo stato non poteva mostrare cedimenti».            

«Nessuno immagina che ci sia stata una trattativa tra stato e mafia, ma che c’è stata una resa da parte dello stato. Ed è una cosa grave», ha detto Maurizio Gasparri intervenendo alla presentazione del libro di Amato: «Questo è un fatto sconcertante - ha aggiunto Gasparri - vorrei collaborare a riscrivere pagine di politica. Chi è vivo ci aiuti a portare chiarezza». Una chiarezza chiesta anche da Amato che, quasi 20 anni dopo il suo dimissionamento, vorrebbe risposte sincere. Ma può mai un’Italia che ha usato la mafia sia per unirsi che per organizzare la politica nel dopoguerra, soprattutto in Sicilia, gettare la verità in pasto all’uomo di strada? «Io ho rispetto delle mie competenze e delle competenze degli altri - asserisce Amato - Non ho potere di investigazione e di indagine: mi rivolgo ai magistrati e ai commissari antimafia e chiedo, poiché siete in gamba e sapete fare il vostro dovere, di dare risposta a queste domande, se ritenete che siano meritevoli di risposte, altrimenti ditemi che non vale la pena rispondere. Le mie domande non mi sembrano però prive di fondamento». Così l’ex capo del Dap, destituito nel giugno 1993, durante la presentazione del suo libro racconta fatti legati alla sua sostituzione dalla carica di capo dipartimento. Da 20 anni chiede risposte.

«La mia destituzione era legittima - precisa Amato - il governo aveva il potere di destituirmi, ma aveva il dovere di dare una spiegazione. Non si può mandare via un alto funzionario come il Capo del Dap senza dirgli perché. È stato un fatto strano, misterioso e inquietante e lascia aperta una certezza che già da allora mi ha accompagnato: che se non si dice il perché vuol dire che non si può dire il perché, c’è una ragione per cui si deve nascondere la verità». Nel libro, Amato fa riferimento all’episodio della lettera che sarebbe stata inviata in forma anonima da Cosa Nostra, nel febbraio del 1993, all’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Nella missiva si chiedeva la rimozione di Amato: «Ho sempre avuto stima per Scalfaro. Quello che dico nel libro non vuole essere un giudizio soggettivo e neppure un’accusa. Spetta ai magistrati, ai commissari antimafia vedere se ci sono responsabilità e vedere di chi sono. Io indico i fatti che ho scoperto a distanza di tanti anni: è stata mandata una lettera, c’è stata una convocazione susseguente del capo dei cappellani carcerari, e nel corso di questo incontro è stato comunicato che il mio tempo al Dap era finito. Che c’entrava il presidente della Repubblica con la nomina o la destituzione del capo del Dap, di competenza del ministro della Giustizia e del governo?”. Amato si chiede «che c’entrava che questa decisione venisse comunicata in anteprima a una persona degnissima ma istituzionalmente estranea? Mi inquieta che il capo cappellano delle carceri fosse la medesima persona incaricata da Paolo VI di mediare in carcere la liberazione di Aldo Moro». Su tutti questi aspetti Nicolò Amato attende una risposta.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:14