Fiat: anche i sindacati contro la Fiom

«Il Tribunale ha il dovere di imporre l’assunzione dei 145 operai sgraditi all’impresa ma l’impresa ha tutto il diritto di licenziare tutti e 2.145 operai e aprire la stessa fabbrica in Croazia o in Romania». Il ragionamento giuridico, economico e politico sviluppato da Gianni Pardo sul sito il Legno Storto in merito alla riassunzione dei operai Fiom imposta dalla magistratura alla  “Newco” di Pomigliano, ex Fiat, trova un non scontato sostegno da parte di un importante sindacato campano, quale la Uil e dalla sua segretaria regionale, Anna Rea. Sostegno ancora più rilevante se si pensa che la Rea è anche Segretaria confederale internazionale Uil, reduce dall’avere aperto nuove sedi del suo sindacato a Bruxelles ed in Libia. Dunque una voce sindacale di valenza nazionale ed internazionale, di un sindacato che in Campania è particolarmente forte nell’industria e nei servizi privati e che a livello europeo esprime uno dei 7 leader sindacali della Ces. 

Scrive la Rea sul fatto politico: «Basta ipocrisia, non si può affidare ad una sentenza il rientro in fabbrica, sembra non ci si renda conto che fuori dallo stabilimento di Pomigliano ci sono oltre 2000 lavoratori, con o senza sindacato, che hanno le stesse identiche esigenze e drammi, siamo di fronte ad una discriminazione al contrario». Dunque, non c’è nessuno che non veda che storicamente Fiat le auto al Sud voleva venderle più che produrle. E che per spingerla ad aprire fabbriche nel Mezzogiorno lo stato la finanziò con oltre 23mila miliardi delle vecchie lire, quasi 12 miliardi di euro, una cifra non da poco. 

Vicende legate alla Fiat Agnelli e non alla Fiat Elkann di oggi, che è riuscita a sopravvivere prima basandosi sugli autoveicoli industriali ed agricoli, poi sull’americanizzazione del marchio avvenuta nell’era Marchionne. Mantenere la produzione al sud è difficile, per motivi strutturali e non. La presenza in Sicilia è già andata. Per mantenere quella in Campania, i lavoratori a Pomigliano a maggioranza accettarono le riforme Marchionne e sostennero sigle come la Uil e la Cisl. I locali rappresentanti della Fiom hanno stracciato la tessera, protestando sulla condotta politica del loro sindacato, ormai imbarcato im una guerra politica contro il capo italo canadese della Fiat. Su tutto ciò sulla stampa ed in tv non c’è stato traccia. I media più o meno di sinistra, in un periodo di fuoco per l’inasprirsi dell’antiberlusconismo, hanno identificato in Fiom il sindacato giusto, anche quando copriva scioperi improvvisi, veri e propri sabotaggi mentre hanno ridicolizzato gli altri come venduti e come soggetti cui piace vincere facile con l’uso dell’intimidazione e del ricatto. 

Per i media, più o meno di destra, tutto il sindacato è a prescindere “giurassico”, da rifiutare in blocco, come se solo gli operai non dovessero avere voce in un mondo che la dà anche alle battaglie più improbabili. Giuridicamente, dice Pardo, sentenza in linea di diritto giusta che impone di riassumere 145 operai, considerati sostenitori Fiom. Ma che non può impedire all’azienda di licenziarne tutti e duemila per riaprire all’estero. E ribadisce la Rea: «Si fa in fretta a sentirsi dalla parte dei “giusti” prendendo in considerazione solo un piccolo pezzetto della realtà che ci circonda. Il problema vero è che la ripresa economica e produttiva stenta a decollare e per cambiare questo non c’è nessuna corsia preferenziale che tenga. 

Anche la sentenza di stamane è stata possibile perché la Fiat è rimasta a Pomigliano grazie ad un accordo siglato con i sindacati presenti ai tavoli, se questo non fosse successo adesso non staremmo qui a parlare né di sentenza, né di riassunzioni». 

Dunque, c’era e c’è un sindacato, come in Germania, che ragionava e ragiona per permettere la produzione al sud. Senza il suo sforzo, non ci sarebbe stata nemmeno la fabbrica e dopo nessuna riassunzione. Il sud è il grande problema del paese, come è noto a tutti, ben prima dell’euro, della finanza, della politica e dell’Europa. Trovare il modo per produrre con profitto al sud è una delle vie principali per combattere la crisi. Chi ci prova però no trova sostegno nella giustizia, nei media e nella politica; viene ignorato. 

Ci si guarda bene dal vedere la coincidenza della voce liberale con quella sindacale. L’operaio che vuole conservare il suo lavoro considerando suo l’interesse dell’impresa, non è un fantasma, né un’astrazione. Esiste, respira, vince le elezioni in azienda, rischia il mobbing con i colleghi, si prende gli sputi e gi insulti. Qualcuno vuole parlarci?  Economicamente, dice la Rea «noi siamo sempre in attesa, che la Fiom si sieda ai tavoli delle trattative smettendola di affidarsi ai tribunali. Si vuole frammentare la rappresentanza in mille microscopici sindacati di comodo. La strada da percorrere l’abbiamo già siglata unitariamente il 28 gigno». Perché la Fiom sola contesta i contratti tutti dal 2009, contesta in Fiat per partito preso quello che firma in Siemens o mille altre aziende; contesta la madre Cgil che a sua volta firmò l’accordo generale del 28 giugno 2011 proprio per fare fuori proprio la figlia Fiom. 

Possono i lavoratori morire di crisi ed insieme dei colpi di coda del berlinguerismo? Conclude Rea: «Il 2 luglio, Cgil Cisl Uil e Ugl scendiamo in piazza, a Napoli, per la la vera discriminazione in Campania, la mancanza di lavoro». Si badi bene, Rea include l’Ugl, il sindacato di destra che è concorrente alla Uil ma che la Fiom rossa non riconosce nemmeno se è votato dai lavoratori. Allora Pardo e Rea dicono le stesse cose. Quando è che metteremo a frutto quest’evoluzione ed isoleremo media, politica e sindacato giurassici, ma collocati dovunque?

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:52