
La crisi economica e la recessione unita alla speculazione finanziaria, che prosegue sui paesi della Ue maggiormente esposti come Italia e Spagna, suscitano grande preoccupazione ed inquietudine nella comunità internazionale e nelle pubbliche opinioni del vecchio continente.
Il voto greco, il cui esito consentirà la formazione di un governo in grado di mantenere gli impegni assunti con la Ue, è un fatto politico rassicurante e assai positivo.
In ogni caso, in questo momento di grande incertezza e molto delicato, nel quale si discute sulle misure da adottare per superare la crisi ed avviare la crescita e lo sviluppo in Europa, vi è un elemento che colpisce ed induce a sviluppare una riflessione di carattere generale.
Ernesto Galli Della Loggia, nel suo editoriale di domenica scorsa pubblicato sul “Corriere Della Sera”, osservava con la consueta raffinatezza e grande capacità di analisi politica, che nel nostro tempo - e questo è un aspetto decisivo comune alle democrazie avanzate - vi è la mancanza sulla scena politica internazionale dei grandi leader del passato.
Mai come in tempi di crisi si avverte questo vuoto dovuto alla assenza di leader, in grado con la loro iniziativa politica e il loro spessore intellettuale e morale di incarnare una visione del bene comune e del ruolo decisivo che l’Europa è chiamata a svolgere in tempi di trasformazioni radicali e profonde. Questo compito in passato è stato assolto, dopo la seconda guerra mondale, da De Gaspari, da Adenauer, da Churghill, e alla fine del novecento da Mitterrand e Kohl, i leader che concepirono e fecero approvare il trattato di Maastricht.
Secondo la suggestiva e provocatoria interpretazione di Galli della Loggia, la mancanza di leader carismatici è dovuta al fatto che oramai, a causa della crisi degli stati nazionali il cui potere decisionale è stato ridimensionato e ridotto, le decisioni importanti, che incidono ed hanno una influenza sulle società contemporanee, vengono assunte in sedi sovranazionali, come il G20 oppure in vertici europei. La politica nazionale dei singoli paesi non viene percepita più come il luogo dove si decidono le sorti ed i destini collettivi delle democrazie contemporanee.
In questa tesi vi è una parte di verità che consente di capire come sta mutando lo scenario politico in occidente nell’era della globalizzazione e dell’economia finanziaria, che sfugge ad ogni controllo democratico.
Tuttavia proprio questa analisi sul declino irreversibile degli stati nazionali, analizzato da un pensatore come Bauman, impone di riaffermare la necessità di rafforzare la cooperazione politica in Europa per avere una maggiore stabilità economica e perché l’ideale Europeo, vagheggiato da padri fondatori, possa trovare una compiuta attuazione.
In questo momento, sia per la visione tedesca che considera l’economia un ramo della filosofia morale e ritiene - come il presidente Monti non si stanca di ripetere - la crescita economica una conseguenza di un comportamento virtuoso, sia per le politiche di rigore in materia fiscale e di bilancio, l’Europa viene vista e vissuta dalle pubbliche opinioni del vecchio continente come una istituzione politicamente incompiuta, che si limita ad imporre sacrifici ed il rispetto di obblighi vincolanti in materia economica.
L’Europa che i padri fondatori sognarono, secondo il loro disegno politico grandioso ed ambizioso, doveva essere un continente unificato e pacifico, in grado di assicurare il benessere economico ai cittadini in un contesto politico che fosse all’insegna della solidarietà comunitaria, mettendo da parte ed accantonando ogni forma di egoismo nazionale.
Proprio recentemente, alla conclusione del vertice del G20 in Messico a Los Cabos, si è molto discusso, tra i principali capi di governo delle maggiori nazioni del mondo, della crisi che ha investito l’Euro e rischia di minare la stessa coesione europea. Secondo alcuni osservatori internazionali, dietro la speculazione finanziaria nei riguardi dei debiti sovrani di alcuni Paesi della Ue vi è il disegno perseguito dalla banche d’affari e dalle istituzioni finanziarie di affossare L’Euro, sia per preservare l’egemonia del dollaro sia per impedire che si arrivi ad una governance capace di conferire un carattere democratico alla globalizzazione.
In ogni caso, durante il vertice in Messico del G20, che ha preceduto l’incontro tenutosi a Roma il 22 giugno fra alcuni capi di stato, il cosiddetto quadrilaterale in vista del consiglio Europeo del 28 e 29 giugno prossimo, è maturata la volontà politica di assumere delle decisioni ed adottare delle misure per porre un argine efficace contro la deriva della speculazione finanziarie e l’aggravarsi degli effetti delle recessione economica.
In primo luogo vi sarebbe la volontà di utilizzare le risorse del fondo Salva Stati per l’acquisto dei titoli pubblici dei paesi in difficoltà, oggi costretti a pagare tassi elevati per finanziare il proprio debito pubblico, a causa della speculazione finanziaria. Inoltre dovrebbe mutare, malgrado le resistenze opposte dalla Germania, il ruolo della Banca Centrale Europea, svolgendo una funzione diversa da quella fino ad oggi esercitata.
In più, si dovrebbe arrivare alla realizzazione della Unione Bancaria nel sistema del credito del vecchio continente, con una vigilanza finanziaria comune sui depositi dei risparmiatori e in vista della ricapitalizzazione delle banche, messe in condizioni, in tal modo, di concedere credito alle imprese ed alle famiglie, per avviare la fase della crescita economica.
Oramai l’intreccio tra quanto accade in Europa e nei vertici internazionali e la politica interna dei singoli paesi della UE è strettissimo e molto profondo.
Infatti, la stessa maggioranza anomala che sostiene il governo Monti, in questo momento così difficile, si attende che il consiglio Europeo del 28 e 29 giugno sia in grado di approvare e introdurre misure risolutive per condurre l’Italia al di fuori di una crisi che crea allarme sociale ed angoscia nella pubblica opinione.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:31