Scalfaro e Ciancimino in cambio di Mancino

«Nell’iter delle indagini sulla cosiddetta trattativa stato-mafia non appare configurabile alcuna violazioni di legge e quindi il ministero della Giustizia non interverrà». È la posizione esposta al question time dal Guardasigilli Paola Severino. Così il ministro erige una diga d’acciaio alla forte interrogazione di Antonio Di Pietro che aveva incalzato il ministro, chiedendo con forza un intervento ispettivo. Il caso è delicato, potrebbe dare la stura ad un impeachment del presidente Napolitano, sbarrando la strada alla rielezione dell’inquilino del Colle, tanto cara al cosiddetto architrave moderato Pd-Pdl-Terzo Polo.

Intanto nell’uomo di strada si fortifica la convinzione che se ti chiami Mancino non sei indagabile, mentre se sei un esodato che inveisce contro un’auto blu finisci sotto processo per direttissima. A creare indignazione nella gente ed imbarazzo ai piani alti, sono le telefonate intercorse tra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino ed il consigliere giuridico del Colle, Loris D’Ambrosio: sono state intercettate, perché Mancino è indagato per falsa testimonianza dai pm di Palermo. E se le intercettazioni legalmente autorizzare sono valide per un normale cittadino, si chiami Berlusconi o D’Alema o Fassino, altrettanto dovrebbe valere per Mancino ed i suoi amici quirinalizi. Ma a salvare in corner Mancino, Napolitano e sodali vari è intervenuto Claudio Martelli: l’ex ministro socialista ha trovato il giusto capro espiatorio, la pezza a colori sulla “trattativa stato-mafia”. «Il mancato rinnovo di oltre 400 decreti di 41 bis per i mafiosi da parte del Guardasigilli dell’epoca Conso avvenne con l’avallo dell’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro», parola di Claudio Martelli, trasmessa dal giornale Radio Rai. Ed alla domanda se il capo di stato dell’epoca sapesse o meno della trattativa, Martelli rimanda tutto all’arte d’interloquire coi defunti, già in passato utile a Prodi e compagni: «Questo non sono in grado di dirlo. Quel che è accaduto dopo con Scalfaro ancora presidente e con l’iniziativa del ministro della Giustizia che mi succedette (cioè Conso) di togliere dal 41 bis prima cento poi altri 300 boss mafiosi, questo, certamente, Conso non lo fece senza il consenso oltre che del governo anche del Quirinale».

Martelli tra trovato la quadra al “salotto buono”: l’architrave “stato-mafia” si regge su due defunti ed un ultranovantenne (Conso). In pratica il contratto con Cosa Nostra l’hanno stretto Scalfaro (defunto), Vito Ciancimino (defunto), Conso (ultraottantenne) e, forse, ne era a conoscenza Salvo Lima (anch’egli trapassato). Questa è davvero una tragedia, vergata d’ellenistica verità, sono i morti che dall’Ade tramano con le divinità contro di noi. Ma Antonio Di Pietro non ci sta, e torna sulla vicenda delle telefonate di Nicola Mancino ai consulenti del Quirinale: «Tutti vogliamo rispettare il Capo dello stato. Debbono però spiegare per quale ragione un personaggio politico che ha presieduto il Senato e il Csm tenti di fuorviare il confronto con dei testi». È evidente che la vicenda Mancino faccia il paio con quella Lusi. In entrambi i casi la vecchia politica non vuole che si sollevi il coperchio dalla pentola maleodorante: nel caso Mancino si dice a chiare lettere che la gente comune non deve sapere cosa trama il Palazzo, e nel caso Lusi c’è chi lavora perché non venga a galla la P5, ovvero i finanziamenti ad una struttura che avrebbe ricostruito la Diccì a sinistra. «Il portavoce del Quirinale, Pasquale Cascella, alza il ditino nel tentativo di spiegare giuridicamente la ortodossia della iniziativa del Capo dello stato nella ormai arcinota vicenda Mancino - Luigi Li Gotti (responsabile giustizia dell’Italia dei Valori). Con il ditino alzato accusa Di Pietro e me di non conoscere le leggi. Chiarisco: proprio perché conosciamo le leggi da lui citate, possiamo dire che non c’entrano un bel nulla con una iniziativa finalizzata al tentativo di evitare il confronto tra Mancino e Martelli, che tanto dava ansia a Mancino».

«Il portavoce del Quirinale, oltre che scrivere tweet, dovrebbe leggere le conversazioni ampiamente riportate dalla stampa - insiste Li Gotti - Poiché però, per il portavoce del Quirinale, siamo ignoranti (e lui il dotto), gli facciamo, da ignoranti, due domandine semplici: 1) sa dirci la differenza tra preoccupazione per il coordinamento delle indagini e l’ingerenza relativa ad un atto processuale da compiersi innanzi ad un Tribunale? 2) Sa dirci la differenza tra fase delle indagini e fase di formazione della prova in un processo? Insomma - conclude Li Gotti - prima di chiamarci ignoranti, faccia una ripassata ai codici». Ma nell’era Severino parlare di codici, di giustizia, è tanto difficile: basti pensare alla condizione in cui versano i carcerati, senz’acqua ed in 10 nella celle da 4.

«Risulta provato dai documenti che un privato cittadino, Nicola Mancino, ex presidente del Senato, ex presidente del Csm ed ex ministro degli Interni, abbia fatto ripetute telefonate a magistrati, allora in servizio o fuori ruolo, per avere da loro indicazioni o interventi di favore sulla sua posizione processuale», ha detto Antonio Di Pietro intervenendo in aula alla Camera nella question time. «Mi riferisco, in particolare, per quanto risulta dalle stesse telefonate, al consigliere giuridico del Capo dello stato, Loris D’Ambrosio, all’ex pg della Cassazione, Vitaliano Esposito, chiamato da Mancino guaglio’ e che nella telefonata si dichiara “a disposizione”, e al procuratore generale della Cassazione, Ciani», insiste Di Pietro.

A conti fatti, se ti chiami Mancino e vieni accusato di falsa testimonianza, trovi sempre un ufficio di gabinetto che intervenga presso gli organi competenti affinché tutto cada nel nulla. Ecco che la Presidenza della repubblica parla di «irresponsabili illazioni», e ci dice che Napolitano ha perso la tranquillità, perché sono state ascoltate le sue telefonate con Mancino. Il Pd “non ci sta” e per bocca del segretario Pierluigi Bersani bolla come «operazione inaccettabile le insinuazioni nei confronti del Capo dello stato, basate su distorsioni dei fatti». Il travet del Pd ci ricorda tanto le posizioni prese dall’appena estinto ex presidente Oscar Luigi Scalfaro, anche lui beninformato su varie trattative dello stato.

A questo punto siamo certi che il “salotto buono” che ora regge l’Italia riuscirà a riversare tutte le colpe d’una trattativa stato-mafia sulle spalle del defunto Scalfaro. La Severino è una donna, è credibile più d’un maschiaccio della politica: prima delle vacanze Roma fornirà i nomi dei defunti coinvolti nella trattativa stato-mafia.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:19