
Provvedimenti cautelari firmati dai Giudici per le indagini preliminari motivati con il “copia-incolla” delle richieste del Pubblico ministero. Talvolta scambiando un procedimento con l’altro e presentandosi con ordini di custodia cautelare contenenti nomi e fatti diversi. Se credete di trovarvi in un tragicomico film di Fantozzi vi sbagliate: è la giustizia all’italiana, bellezza. E dobbiamo tutti essere grati alla pazienza con cui l’avvocato Giandomenico Caiazza si va a scartabellare le decine di episodi di questo tipo, tra le sentenze di Cassazione o similaria, riproponendole poi ogni venerdì mattina a Radio radicale nella rubrica “Pillole del rovescio del diritto”.
Il caso in ispecie riguarda un procedimento per il quale, a Napoli, il Tribunale del riesame aveva annullato i mandati di cattura di due persone accusate di traffico internazionale di stupefacenti. La motivazione del gip “de quo” era pressochè inesistente: si limitava, dopo alcune generiche considerazioni iniziali, a copiare e incollare le richieste del pm con cui si chiedevano gli arresti per droga. Già questo, ha stabilito in passato la Cassazione stessa, sarebbe motivo di annullamento in quanto la legge vuole che ci sia un vaglio critico nel merito del Gip sulle richieste della pubblica accusa.
Sennò, si potrebbe dire, che lo paghiamo a fare il gip stesso? Naturalmente con questa prassi le garanzie costituzionali sono quelle che ne risentono. Con questo infingimento del “copia e incolla” che ormai è diventata una pessima prassi, con la scusa dello smaltimento dell’arretrato o con quella della “sicurezza”.
La verità è che copiando e incollando il Gip lavora di meno e produce, apparentemente, di più. Ma, come si dice, quando il diavolo ci mette la coda, o magari anche le corna... Nella sentenza citata da Caiazza, la 950 della sesta sezione penale, presidente Tito Garribba, Ercole Aprile relatore (che studia il caso dentro al collegio di Cassazione), viene fuori un altro incidente dai risvolti comici: nel provvedimento del Gip, annullato dal Riesame e pervicacemente impugnato dal pm davanti alla Cassazione, non erano contenuti solo i “copia incolla” delle richieste della pubblica accusa ma anche quelle di un’altra pubblica accusa relative a un altro procedimento. Il traffico di droga non riguardava più solamente un presunto giro internazionale di cocaina ma era relativo anche ad altri stupefacenti, c’erano altri luoghi, altri imputati e altre circostanze, tra cui accuse di 416 bis per associazione camorristica. Insomma, come se un impiegato ai passaporti avesse fatto una pratica con il volto di una persona e le credenziali di un’altra.
Per carità, tutti commettono errori, a partire dai giornalisti. Ma una volta che il tribunale del riesame ti becca in castagna e ti annulla il provvedimento cautelare, a che pro impugnare davanti alla Cassazione per fare perdere altro tempo e denaro? Non faceva prima il Gip a studiarsi finalmente la pratica e a decidere nel merito limitando il copia incolla e ampliando la propria opera di meditazione sui fatti e sulle persone (quelle vere, non quelle di un altro procedimento) oggetto della richiesta cautelare? A quasi 30 anni dal caso Tortora, magari in tema di responsabilità civile del magistrato, episodi come questi possono suggerire qualche riflessione. O no?
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:03