
«Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile…una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma», aveva detto nel luglio scorso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Tra breve sarà un anno da quell'autorevole denuncia, fatta nella non meno autorevole cornice di Palazzo Madama. Da allora? Nulla.
Eppure, per dirla con le parole di un magistrato di esperienza come il giudice Giancarlo De Cataldo, «la giustizia italiana funziona malissimo. La giustizia civile è lenta in modo esasperante. Il processo penale, invece, è stato ingarbugliato da una serie di leggi fatte male, contraddittorie fra loro...».
La questione, nella sua drammatica essenza, è questa: è vero o no che le carceri sono al collasso, nelle prigioni italiane sono rinchiusi qualcosa come 67mila detenuti, a fronte di una disponibilità reale di circa 44mila posti? Un surplus di circa 23mila detenuti rispetto alla massima capienza, che determina un affollamento in termini di percentuale di oltre il 52%. È vero o no che sono al collasso anche i tribunali e gli uffici giudiziari, sommersi da migliaia di procedimenti di ogni tipo e natura? È vero o no che in questo anno i fieri sostenitori del no all'amnistia, come rimedio e alternativa non hanno saputo, potuto, voluto opporre niente? È vero o no che non vogliono l'amnistia, ma non battono ciglio sulla quotidiana amnistia di classe costituita dalle prescrizioni? Perché ne beneficia solo chi si può permettere un buon avvocato e ha buone amicizie, e clandestina perché è tenuta nascosta, non se ne parla e non se ne deve parlare: sono circa 150mila i processi che ogni anno vengono chiusi per scadenza dei termini.
Lo si è detto e lo si ripete: per reati come la corruzione o la truffa, c'è ormai la certezza dell'impunità. Nel 2008, oltre 154mila procedimenti sono stati archiviati per prescrizione. Nel 2009 oltre 143mila. Nel 2010 circa 170mila. Per il 2011 abbiamo sfiorato il tetto delle 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008. In tribunale da 261 giorni a 288. In procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla Corte d'Appello. A Roma e nel Lazio, per esempio, quasi tutti i casi di abusivismo edilizio si spengono senza condanna, gli autori sono destinati a farla franca.
L'ultimo in ordine di tempo a condannare la malagiustizia italiana è stato il Wall Street Journal. Nella sua impietosa, ma sostanzialmente esatta e corretta, radiografia dello stato di cose italiane, dei problemi che sono sull'agenda di Mario Monti e del suo governo, le ineludibili urgenze e le impellenze, cita la lunghezza dei processi. Che costituiscono una paralizzante palla al piede, che impediscono - certo non solo, ma anche - il necessario sviluppo e scoraggiano gli investimenti: quelli nazionali, che emigrano altrove, e sopratutto quelli esteri, che non nutrono (come dar loro torto?) fiducia nel nostro sistema.
Non è una novità, piuttosto una conferma di quanto sia diffusa consapevolezza, da Seattle a Hong Kong, che uno dei nostri maggiori problemi sia appunto «l'irragionevole durata dei processi» con tutto quello che ne consegue: sia dal punto di vista umano e individuale, di migliaia di persone che devono penare per anni per ottenere giustizia, sia dal punto di vista più generale, dello sviluppo che non c'è, che resta al palo.
I fieri avversari del provvedimento, oltre al loro fiero e stentoreo no, non sanno e non possono dire altro. Il problema lo conoscono, e forse meglio di noi. Il problema non sono nella condizione di negarlo. Sostengono che una possibile soluzione indicata è sbagliata. Però non c'è mai ombra di soluzione alternativa. A questo punto è evidente che sono sostenitori e fautori dello status quo: lavorano perché nulla cambi e tutto resti immutato. Una situazione che nutrono e alimentano con la loro indifferenza e i loro silenzi.
Questa è la situazione, questi sono i fatti. Come rispondono i fieri fautori del no alla proposta di amnistia? E come rispondere e corrispondere all'iniziativa nonviolenta di Marco Pannella (in sciopero della fame da giovedì scorso), di Irene Testa, animatrice dell'associazione "Detenuto ignoto" (in sciopero della fame da ieri), e alle tante, spontanee e ignorate iniziative nonviolente che germinano dalle carceri, è affare che riguarda tutti noi.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:47