Bersani e le primarie per fermare Renzi

«Primarie aperte per la scelta del candidato dei Progressisti e dei Democratici italiani alla guida del paese». È questa la formula scelta da Pier Luigi Bersani per lanciare la consultazione che dovrà indicare il candidato premier del centrosinistra. Una coalizione probabilmente orientata verso sinistra: «È una proposta che propongo di avanzare non solo ai partiti di un centrosinistra di governo - ha proseguito il segretario - ma ad associazioni, movimenti, liste civiche, sindaci e amministratori. Singole personalità che si riconoscono nel campo democratico e progressista». Una formula che, nel complicato lessico Democratico, dovrebbe riguardare più Idv e Sel che non l'Udc. Nonostante con il partito centrista rimanga la possibilità di alleanze a macchia di leopardo sul territorio. E non di poco conto, a dar retta al rinnovato vento sulle vele della candidatura di Andrea Riccardi a sindaco di Roma come scritto ieri da L'Opinione.

Ma per vincere la complicata partita delle politiche, la direzione impressa dalla segreteria sembra andare verso la conferma degli accordi estivi presi dai tre partiti a Vasto. Con un riferimento non banale alle ipotetiche «liste civiche» di cui si è molto parlato negli ultimi giorni. L'apertura di Bersani è servita a disinnescare quello che era suonato come una sorta di ultimatum da parte di Nichi Vendola e Antonio Di Pietro, che avevano chiesto a largo del Nazareno una decisione in tempi rapidissimi sulle primarie di coalizione. Pena lo sganciamento dei rispettivi partiti dall'orbita del Pd. "Progressisti, democratici, un centrosinistra di governo" fanno parte di un bagaglio terminologico che tende ad escludere la possibilità di un'intesa con l'Udc. Almeno in una prima fase. Come rileva il direttore di Europa, quotidiano del Pd: «Nella proposta Bersani non c'è spazio per l'alleanza con l'Udc. Le primarie sono stati generali di un centrosinistra più movimentista». Anche se un attento osservatore, nonché deputato di lungo corso, come Claudio Petruccioli non se la sente di escludere del tutto un'ipotesi centrista: «Secondo me Bersani ha detto: alleati possibili Sel, Idv, Udc, e la lista di Repubblica». Pur osservando che «ne potrebbero bastare anche tre su quattro». Uno scenario che vedrebbe con tutta probabilità Pierferdinando Casini a chiamarsi fuori, nel timore che un'alleanza con forze massimaliste sia poco gradita al proprio elettorato.

Molto positiva la reazione di Vendola: «Le parole di oggi di Bersani danno fiato e ossigeno: sono molto importanti - ha commentato il leader di Sel - c'è il riconoscimento che non bastano i leader dei partiti e i partiti ma che occorre un coinvolgimento di movimenti, organizzazioni, donne». Il governatore della Puglia spinge sull'acceleratore, in vista di una consultazione popolare che potrebbe riservargli più di qualche chance di vittoria. E che scatena le perplessità dell'ala centrista del Pd. Che per bocca di Paolo Gentiloni ha marcato il proprio dissenso in direzione: «Bisogna dire no alla foto di Vasto». Perché, se lo schema delle alleanze sembra a poco a poco delinearsi, sulle regole e sulle modalità con le quali le primarie si dovranno svolgere regna l'incertezza. Le parole di Bersani sembrano delineare una gara aperta a chiunque voglia concorrere. Dunque non solo ai leader dei partiti alleati, ma anche ad altri esponenti Democratici. Una formula che ha trovato il sostegno di un avversario storico del segretario, qual è Walter Veltroni: «Condivido l'ispirazione politica e le proposte contenute nella relazione di Bersani». Tra gli uomini di Matteo Renzi serpeggia il timore che prima o poi arrivi una chiamata del partito a serrare i ranghi: presentare un unico candidato per non disperdere il voto e lasciare ad altri la vittoria. Evitando così da un lato il pasticcio di Genova, e stoppando al contempo le ambizioni del sindaco di Firenze. Che ha giocato d'anticipo, rilasciando una lunga intervista al Foglio. «Noi siamo in campo, e non lo facciamo per partecipare, ma solo perché sappiamo che noi, oggi, in questa gara, possiamo vincere davvero» ha detto Renzi al quotidiano di Giuliano Ferrara. Confermando, di fatto, la propria discesa in campo.

Che tipo di competizione sarà, dipenderà anche dal sistema elettorale con il quale si andrà a votare. «Non ha senso fare le primarie se rimane il Porcellum» ha detto Gentiloni. Una posizione che trova d'accordo molti fra gli esponenti piddini. Scenario rigettato con forza da Bersani: «Se qualcuno pensa di tornare a votare con il vecchio sistema elettorale, abbia il coraggio di dirlo» ha tuonato dal podio della direzione. Ha poi rilanciato con forza su un sistema a doppio turno, contenuto nell'originaria proposta democratica della scorsa estate. E ha invitato il Popolo della libertà a trovare un accordo sul tema entro il mese. Pochi gli spazi concessi al semipresidenzialismo che vorrebbe Angelino Alfano. Il tempo di riforme organiche, secondo Bersani, non può essere relegato ad un ultimo scorcio di legislatura. Meglio rimandare tutto alla prossima, che dovrà aprire una vera e propria fase costituente.  Una giornata convulsa, che potrebbe aver allontanato lo spettro delle elezioni anticipate. Lo stesso Stefano Fassina, che aveva rilanciato il dibattito proprio a partire da questa ipotesi, ha stemperato i toni. Ha sì ribadito che «quello dell'esecutivo Monti, è un quadro politico non in grado di dare risposte alle domande pressanti della società», ma ha rinviato la discussione a «dopo l'estate». La ciliegina sulla torta di quelle che Alfano ha etichettato come «aperture» l'ha posta Enrico Letta: «Chiunque vinca le prossime elezioni, si assuma l'impegno di eleggere in modo bipartisan i presidenti delle Camere».

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:52