
Nel 2011 le emissioni di gas serra in Italia sono state inferiori del 3% rispetto ai parametri fissati dall'Unione Europea. Lo dice un recente studio elaborato da Ecoway, società di consulenze leader in Italia nell'ambito degli studi sui cambiamenti climatici. A tirare la carretta dei "virtuosi" sono state soprattutto le regioni del nord: in particolare Veneto, con un eccellente -34%, Piemonte (-28%), Lombardia (-15%) e Trentino (-18%).
Una buona notizia? Forse no. Ad esempio non ne è affatto convinto Oreste Rossi, eurodeputato della Lega Nord e membro della commissione Ambiente e Sanità al Parlamento Europeo. Per lui l'unico motivo per cui i dati si sono rivelati così positivi sono i disastrosi effetti della crisi economica. Una fabbrica ecocompatibile, infatti, produce sicuramente meno CO. Ma un'azienda costretta a chiudere i battenti, oppure a delocalizzare la produzione al di fuori dell'Europa non ne produce affatto. «Le cause della riduzione di emissioni nel Nord Italia, specialmente nelle regioni più industrializzate del Paese, ovvero Veneto, Lombardia, Piemonte e Trentino, dovrebbero essere analizzate più in profondità» ammonisce il deputato del Carroccio a Bruxelles. «Queste aree, infatti, sono proprio quelle che hanno risentito maggiormente di un crollo della produzione industriale».
Se la vera ragione del successo fosse questa, ci sarebbe davvero poco di cui andare fieri. Ma il fatto è che se da un lato la farraginosa burocrazia nazionale impedisce a gran parte delle aziende italiane di accedere alle sovvenzioni e agli incentivi ambientali, la gran parte dei problemi nazionali si originano proprio a Bruxelles: «La politica Ue su efficienza energetica, rinnovabili e nucleare è illusoria, perché puntando tutte le risorse sulle energie alternative ci fa rischiare di rimanere, entro pochi anni, senza energia» dice l'onorevole Rossi. «Dobbiamo fare in modo che l'Unione non imponga una riduzione di CO2 fino al 30% entro il 2020, come vorrebbe la titolare europea all'Ambiente, Connie Hedegaard, che prevede addirittura un innalzamento all'85% entro il 2050» prosegue il parlamentare europeo. «Per questo condivido le preoccupazioni espresse dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, il quale ha affermato che se la riduzione di CO2 per il 2020 venisse davvero innalzata al 30% si arriverebbe ad una "disindustrializzazione e desertificazione dell'Europa nel settore manifatturiero». Insomma, un'Europa verde ma anche "al verde".
E che senso ha, rincara Rossi, la strategia brussellese di chiedere impegni solo al Vecchio Continente? «I primi a cui andrebbero chiesti maggiori sacrifici dovrebbero essere i paesi terzi. Non dovendo rispondere alle stringenti regole ambientali comunitarie, diventano terreno fertile per le nostre aziende in crisi che vi delocalizzzano».
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:05