Ripartire dalle idee, o la politica muore

I politici coltivano evidentemente una concezione ormai superata del popolo italiano, considerandolo immaturo, proprio ora che ha ormai assunto un atteggiamento di aperta ribellione nei confronti dei politici, ma non della politica. Come l'avanzata del grillismo antagonista dimostra.

La recente trovata, quella che dovrebbe far vibrare di contentezza gli angoli più riposti dei precordi degli italiani, è il semi presidenzialismo alla francese sul quale, anche se con qualche ritrosia di facciata, sembra si tornerà a parlare. 

Peccato che i nostri politici non somiglino neanche lontanamente a De Gaulle (non solo per statura fisica) e che costoro, che sopravvivono a se stessi solo per il potere che attualmente ancora esercitano, non avendo idee né progetti, ma vivendo in una sorta di "ridotta" della politica con Monti a fare da sentinella, abbiano anche pensato a ridurre il numero dei parlamentari, giusto per darla a bere ai cittadini inviperiti dagli sprechi.

Riprendiamo dunque da capo le fila del ragionamento. I cittadini italiani, stanchi di essere mal trattati e mal governati, richiedono a gran voce quanto meno un grande taglio ai costi della politica con l'eliminazione delle province, l'eliminazione dei finanziamenti pubblici ai partiti (verificato a cosa realmente sono serviti), la riduzione del numero dei parlamentari, la riduzione dei loro stipendi e dei loro benefit (vitalizi, auto blu, case, e tutto il resto che viene definito dal fisco comunemente "nero"), oltre possibilmente, un comportamento degli stessi politici consono alle alte cariche da essi ricoperte. 

Ebbene, per quanto al taglio delle province si pensa di ridurne il numero ma poco poco; quanto all'eliminazione del finanziamento ai partiti l'ipotesi è anch'essa riduttiva ma di quel tanto e non più, ipotizzando ipercontrolli e trasparenze varie, come se gli imputati di indebite appropriazioni non fossero abbastanza abili nell'aggirarli; la riduzione dei parlamentari si ipotizza per un 50% circa (senza criterio giustificativo alcuno: un numero a caso); circa una eventuale loro riduzione di stipendio neanche un cenno. 

In quanto ai benefit, restano sostanzialmente inalterati a parte la tazzina di caffè e le tagliatelle al ristorante di Camera e Senato. Sui comportamenti (che si riferiscono al malaffare e non a questioni di letto) sorvoliamo perché è una battaglia persa.

Pur tuttavia le dichiarazioni a caldo del ministro Giarda, anticipatrici dei tagli che  Bondi si appresta a suggerire (100, 300 miliardi di euro?) lasciano sperare. 

Ma per il momento riprendiamo le fila del ragionamento che investe il sistema democratico e che speriamo non ricada sotto le forbici dei tagli. Il timore è che in questo paniere di ipotesi finora irrealizzate, neanche una parola i politici spendono sulla riforma della legge elettorale che al momento facilita l'elezione degli amici, degli yes men, come tutti sanno. Cosa questa che insieme alle altre ha incollato sulla loro schiena l'epiteto di "casta". Dunque, in pieno caos economico e sociale, nel marasma politico conseguente alle sconfitte di tutti i partiti ad opera dei grilli parlanti, nell'emergenza suicidi e ora anche terrorismo, in attesa delle decisioni di Montezemolo e di non si sa chi altri si voglia immolare per salvare questo paese, cosa ci si inventa? Proprio la repubblica semi presidenziale alla francese di cui si diceva, voluta a suo tempo dal succitato De Gaulle. Ricordato ancora una volta che il De Gaulle, accanto a questa modalità di governo del suo paese, ha istituito in Francia le due scuole di alta specializzazione amministrativa e politica (l'Ena e Sciences Po), che se imposte in Italia con obbligo di frequenza contribuirebbero a eliminare l'ignoranza di certi politici e di tanti alti amministratori della cosa pubblica, l'introduzione in Italia del semi presidenzialismo proposto disegnerebbe il seguente scenario.

La riduzione del numero dei parlamentari farebbe sì che, allo stato della vigente legge elettorale, la rappresentanza si ridurrebbe a una oligarchia di fedelissimi, di veri boiardi, che non risponderebbero giammai al popolo (non più sovrano) ma semmai al capo che li ha scelti certamente con criteri non meritocratici. 

Il tasso di democrazia in Italia, per diminuita rappresentanza territoriale, sarebbe automaticamente inferiore. A ciò si accompagnerebbe un tasso di competenza ai minimi storici per il motivo anzidetto. Le segreterie dei partiti diverrebbero esse i veri centri di potere per la maggiore capacità di ricatto verso gli eletti. A questo punto il presidente della repubblica eletto direttamente dal popolo nomina il primo ministro che a sua volta nomina i ministri i quali agirebbero però, in presenza di un parlamento di "nominati" come un direttorio incontrollato e incontrollabile che tutto potrebbe, anche sopprimere i diritti democratici. Sarà pure un bene per il paese che il presidente della repubblica abbia nominato Monti senatore a vita per imporlo poi come primo ministro. Sarà anche bene che a sua volta Monti abbia nominato ministri dei non politici a sua scelta. 

Ma il "vizietto" antidemocratico della nomina diretta in questo paese rischia di diventare una epidemia. L'eletto sindaco di Parma, un grillino ora molto gettonato, guarda caso, sembra voglia assessori scelti tra il popolo a semplice presentazione di curricula. Niente di male se non fosse che stiamo stravolgendo i principi basilari della nostra democrazia. Una forzatura nella prassi della vera antipolitica espressa dal grillismo. E ciò per colpa di un manipolo di birbanti incompetenti che spacciandosi per fini politici, hanno portato il nostro Bel Paese sull'orlo del baratro.  Come si vede l'ipotesi è per un nuovo protocollo di cura che, applicato in assenza di riforma elettorale, diverrebbe ancora più pericoloso della malattia. Urge una più seria e meditata assunzione di responsabilità.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:19