
Molti considerano il Tea Party italiano l'altra faccia del grillismo. Anche del Tea Party americano si è detto che è una forza populista. In quest'epoca si bada solo alla prima metà di un motto come «meno tasse, più mercato». Eppure il Tea Party non è il doppione del Movimento 5 stelle, se fosse populista, perdonateci il gioco di parole, oggi spopolerebbe. Il Tea Party si fonda su contenuti e su una rigorosa interpretazione della realtà. È contenuto prima che metodo. E' un'idea, prima che un insieme di candidati senza progetti. Non ci sono solo «meno tasse», ma anche «meno Stato» e «più mercato», e i grillini neo-eletti, convinti che "vincere il profitto" sia un risultato di cui andare fieri, restano, loro sì, nel solco della bassa retorica populista sinistroide.
Totalmente diversa la capacità del movimento anti-tasse di coniugare protesta e proposta: anziché un misto di ecologismo, socialismo e giustizialismo amalgamati all'ombra del V-Day, il Tea Party ha alle spalle secoli di filosofia, e l'arguzia di chi concretizza istanze attuali e realizzabili attraverso iniziative molto pratiche. Movimento che non nasce sulle macerie di partiti e alleanze infranti. Ai fondatori va riconosciuto il merito di aver iniziato un percorso autonomo da ogni tessera o ala di palazzo molto prima che si prospettasse il tracollo del PdL delle recenti amministrative, prima delle tasse di Monti, e prima che spending review diventasse argomento di ogni trasmissione televisiva.
La prima iniziativa romana ha piuttosto ribaltato il paradigma grillino. La presenza di Fabrizio Rondolino, ex dalemiano, e di Montesano, insieme a Bracalini, de Il Giornale, se ad alcuni ha fatto pensare a un impianto di riciclo di esodati, o a una costola del Pdl, in realtà ha attestato il clima di confronto e l'apertura del movimento, accogliendo interventi di grande spessore, senza timore di strumentalizzazioni: il Tea Party ha un obiettivo chiaro, ridurre drasticamente il perimetro dello stato e fermare la rapina legalizzata, per questo non ha bisogno di «nemici esterni», quelli che Grillo ha costruito ad arte coi suoi vaffa.
Mettiamo in circolo nuove idee, o piuttosto una nuova prospettiva da cui guardare ai problemi del Paese - scriveva Proust: «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi». Spostiamo i riflettori dalla «razionalizzazione della spesa» (spendere meglio le stesse cifre), alla sfida di ridurla una volta per tutte; dall'invidia sociale verso i ricchi e dall'odio per gli evasori, al tema di un fisco compatibile con un modello di «Stato limitato». Mentre gli altri si aggregano per chiedere che lo Stato faccia di più, noi lottiamo perché si faccia da parte, liberando spazi per il libero mercato e la società civile.
Ci sforziamo di ripensare la democrazia, le forme di partecipazione. Aggreghiamo con il buon senso e iniziative concrete, il che non significa imparentarsi con chiunque dopo il decreto "Salva Italia" si è accorto che le tasse sono troppe, salvo restare ancorato ai propri privilegi statali.
Questo non è grillismo. C'è chi, come lo stesso Montesano, ha contestato la scelta del Tea Party di limitarsi ad appoggiare i candidati più ricettivi verso le sensibilità liberali. Accettiamo le critiche, ma se stiamo attenti a non disperderci nei gangli del potere, non è per stare al passo con la moda; è perché, da liberali, del potere diffidiamo. Forse per questo siamo meno numerosi dei grillini, forse per questo non facciamo paura come loro. Diamo fastidio. Siamo meno attraenti di chi si sgola in piazza, e siamo pure più umili di chi pensa di aver inventato qualcosa, perché sappiamo da dove, da chi veniamo. Questo è il Tea Party Italia. Questo sarà, da oggi, il Tea Party a Roma.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:01