
La polemica scoppiata l'altro giorno tra Libero (ed il suo direttore Maurizio Belpietro) ed uno dei tre coordinatori nazionali del Pdl (Sandro Bondi) la dice lunga sullo status del partito del Cav e della sua evidentemente scarsa capacità di ammettere l'esistente (cioè la sconfitta) e di assumere, di conseguenza, le determinazioni necessarie.
Annunciando le proprie dimissioni dall'incarico di partito (naturalmente respinte da Berlusconi ed Alfano), Bondi si è scagliato contro il quotidiano milanese: «Una delle ragioni più evidenti delle nostre difficoltà - ha reso noto il triumviro - riguarda direttamente la linea, gli argomenti e il linguaggio stesso di quei quotidiani che, come Libero, dichiarano di riconoscersi nell'area di centrodestra».
Ma, in fondo, cosa aveva scritto il quotidiano diretto da Belpietro? Che le ragioni della debacle elettorale del Pdl erano da ricercare «negli errori del governo Berlusconi, nell'appoggio a un esecutivo che applica il programma del Pdl al contrario, nell'impresentabilità di alcuni candidati e nel fallimento di alcuni sindaci».
E allora? Aveva forse scritto una bugia Libero? O si era limitato a riconoscere in alcuni semplici motivi la ragione di una sconfitta pressoché devastante per il partito dell'ex presidente del Consiglio?
Le squadre che non si cambiano - come si usa dire - sono quelle vincenti, non quelle incapaci di interpretare le richieste della gente e, quindi, dei potenziali elettori i quali, di conseguenza e nelle urne, si rifiutano di confermare loro la fiducia.
E non è più possibile che - a Roma ma anche nelle piccole realtà periferiche - non si possa mettere in discussione una linea politica senza essere tacciati di "tradimento" o, peggio ancora, di "causa della sconfitta". I partiti ed i movimenti ove non erano ammesse critiche o proposte alternative erano (sono) quelli caratterizzati da un'ideologia tutt'altro che liberale.
Non è più possibile, in altri termini, pretendere che si assista passivamente ad un tracollo (e non solo in termini elettorali) senza dire una parola. Così come non è più verosimile che i veri responsabili di un fallimento politico si ostinino (ripeto, a Roma come nei piccoli e medi centri italiani) a guidare una macchina che hanno già condotto verso il disfacimento, rendendo evidente (per dirla con Belpietro) la loro incapacità anche a dimettersi.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:16