
Per le Olimpiadi di Londra 2012 occorrerà attendere ancora qualche mese, ma nel frattempo l'Italia si aggiudica già il record europeo per la più alta pressione fiscale sul lavoro: 42,6%. In sostanza, per ogni mille euro guadagnati dai lavoratori dipendenti italiani, 426 euro è l'ammontare delle tasse che vengono fagocitate dalle casse dello stato.
A confermare questo record negativo ci ha pensato l'ufficio studi della Cgia di Mestre che ha misurato l'incidenza delle tasse e dei contributi previdenziali sullo stipendio medio di un operaio e di un impiegato italiano. Il risultato è sconcertante: numeri alla mano, il prelievo fiscale supera della metà gli stipendi e i salari lordi degli italiani.
Ecco nel dettaglio i casi presi in esame dall'associazione dei piccoli imprenditori e artigiani mestrini: un operaio occupato nell'industria con uno stipendio mensile netto di 1.226 euro, costa al suo titolare ben 2.241 euro. L'importo, infatti, come spiegano dalla Cgia, è dato dalla somma della retribuzione lorda presa ad esempio, in questo caso 1.672 euro e dal prelievo a carico del datore di lavoro, in questo caso pari a circa 568 euro. Le cose non vanno meglio nemmeno ad un ipotetico impiegato in una azienda industriale che porti a casa 1.620 euro mensili netti. Il costo a carico del datore di lavoro, in questo caso, è di ben 3.050 euro, anche qui frutto della somma tra la retribuzione lorda (2.312 euro) e il prelievo a carico del suo titolare (738 euro).
«Bisogna abbassare il carico fiscale e contributivo sui salari e gli stipendi» dichiara Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia. «Solo lasciando più soldi in tasca agli italiani - prosegue - abbiamo la possibilità di rilanciare i consumi». Secondo Bortolussi la crisi grava moltissimo sul nostro paese, soprattutto dal punto di vista occupazionale, anche perché continuano a calare i consumi. Meno si acquista, più si sta a casa. Più si sta a casa, meno si spende. Dobbiamo scardinare questo circolo vizioso per scongiurare di scivolare dentro una fase depressiva».
Ma non basta: un costo del lavoro così elevato non si ripercuote soltanto sui consumi, ma anche sugli investimenti dall'estero e sul proliferare del lavoro nero. Più tasse sul lavoro significano infatti un minor interesse delle aziende straniere a creare occupazione in Italia. Ma anche un maggior disincentivo all'assunzione "regolare", con il conseguente "Far West" del sommerso, e dello sfruttamento di lavoratori sottopagati.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:59