Martelli ricorda la strage di Capaci

Claudio Martelli, ministro della Giustizia ai tempi della strage di Capaci, ricorda la figura di Giovanni Falcone nel libro "Il profumo della Libertà", edito dal Ministero della Gioventù. Pubblichiamo di seguito uno stralcio di quella testimonianza.

Il pomeriggio del 23 maggio 1992 mi trovavo nello studio di Andreotti, in quel momento Presidente del Consiglio, a discutere dei possibili scenari dell'elezione del Presidente della Repubblica. Andreotti sapeva che noi socialisti avremmo appoggiato la candidatura di Forlani e mi stava prospettando la possibilità, laddove Forlani non ce l'avesse fatta, di prendere in considerazione anche il suo nome. Mentre discutevamo, lo chiamarono al telefono. Ascoltò senza dire nulla, poi, appena terminata la chiamata, mi disse che c'era stato un attentato a Palermo contro Falcone, ma che sembrava che il giudice fosse stato ferito in modo non grave. Mi alzai subito e gli dissi che dovevo andare a Palermo per sincerarmi della situazione. Partii immediatamente con il volo di Stato da Ciampino. Falcone, in realtà, era già deceduto e quando arrivai a Palermo non riuscii neppure a vedere il suo corpo e quello della moglie. Era uno spettacolo troppo raccapricciante, mi dissero. Tornai a Roma quella sera stessa. Nei giorni successivi si scatenò una ridda di ipotesi, di illazioni sulla dinamica dell'attentato che non sono ancora cessate. Le indagini più recenti tendono ad avvalorare l'idea che l'attentato a Falcone e quello successivo a Borsellino siano da inserire in una strategia di destabilizzazione dello Stato italiano, che in quel momento soffriva la crisi incombente della prima Repubblica e del sistema dei partiti, voluta da "cosa nostra" per individuare nuovi interlocutori politici. È difficile elaborare una tesi coerente su quanto è successo, e forse bisogna anche diffidare di ricostruzioni troppo coerenti, considerate le contraddizioni e le casualità della vita. Se Falcone non fosse stato alla guida della macchina, ma al suo posto, nel sedile posteriore, si sarebbe probabilmente salvato. Si è invece salvato il suo autista.

Certamente, però, possiamo affermare che la prima Repubblica sia caduta anche per quanto accaduto in Sicilia. L'onta di quelle stragi, il fatto di non essere riusciti a scongiurare l'assassinio di Falcone e Borsellino, fu certamente un elemento che influì sulla dissoluzione di quel sistema politico. In realtà, la reazione dello Stato alle stragi fu immediata. 

Riuscii ad ottenere in tempi rapidissimi l'approvazione in Parlamento, pressoché unanime e quasi senza emendamenti, del cosiddetto decreto Falcone. E l'applicazione di quei provvedimenti (carcere duro per i mafiosi, rafforzamento della legge sui pentiti, prolungamento dei termini di indagine e custodia cautelare per gli imputati di mafia, trasferimento dei boss sulle isolette, Pianosa e Asinara) fu certo determinante per rilanciare l'azione dello Stato contro "cosa nostra".

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:19