Bici contro sviluppo e libertà

«La bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un auto, se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da un unica vettura. Per portare quarantamila persone al di là di un ponte in un ora, ci vogliono dodici corsie se si ricorre alle automobili e solo due se le quarantamila persone vanno pedalando in bicicletta». L'ha detto Ivan Illich, austriaco, fattosi prete a Roma nel 1951 e divenuto importante dirigente della Chiesa Cattolica di New York e, da lì, dall'America Latina, per la quale fonda nel '60 il CIDOC, Centro Intercultural de Documentación, in Messico, un centro di ricerca e formazione per i missionari del Nord America. Illich negli anni '70 partecipa della rivolta della chiesa latino-americana contro l'eccessiva collateralità del Vaticano agli USA e passa ad uno stato laico col quale lo troviamo nel '77 a insegnare a Trento nel visibilio del movimento studentesco da cui usciranno Curcio & co., i fondatori delle Br. Colpito dal cancro che combatteva fumando oppio, Illich è morto dieci anni fa, ricordato come pensatore, docente di mille università e grande didattico.

Invece fu un cattivo maestro, più che inutile, dannoso nei confronti del mondo istituzionale e dei giovani cui si rivolse, non perché predicasse contro il sistema politico e sociale o perché sostenesse la congiura, l'antisviluppo, la chiusura elitaria e carbonara, ma perché lasciava, nel distruggere, solo vuoto, nessuna proposta realistica e nessun miglioramento futuro. Non meraviglia perciò la citazione che fa parte dell'esaltazione di cose apparentemente democratiche ed invece puntate contro la gente per peggiorarne la condizione e lo status quotidiano. Che la bicicletta sia più maneggevole dell'auto, è un fatto scontato. Anche l'auto è più maneggevole di un autobus; e l'autobus lo è più di un treno; ed il treno lo è più di un aereo. Più maneggevole di tutto è poi solo il corpo umano, senza bici, auto, autobus, treno e aereo.

Ben diverso è il consumo di tutti questi mezzi. Chi, con Illich, si illumina per la bici, pensa che sia andando a piedi che a pedali, non si consumano materiali energetici inquinanti, come avviene con gli altri mezzi citati. Ben diversi sono i risultati, però. Non potremmo avere grandi agglomerati urbani senza auto o autobus, non potremmo avere sviluppo nel mondo senza treni ed aerei. A chi citasse la crisi, sarebbe facile contrapporre lo sviluppo che stanno avendo aree del mondo solitamente arretrate, per una crescita mondiale del 4% hic et nunc inimmaginabile nei secoli precedenti. I fautori della bici e di Illich in fondo pensano che il male stia qui, nell'arricchimento di parte delle masse dei Brics o nell'abbandono della terra per le realtà urbane determinatasi in 150 anni. Era meglio, secondo loro, quando i milioni di popolani non vedevano mai il mare, vivendoci magari a 100 km di distanza. Piangono 2.556 ciclisti morti negli ultimi 10 anni sulle strade italiane e 1.275 su quelle inglesi. Piangono 462 ciclisti morti in un anno in Germania e i 280 in Polonia. Li piangono «per la villania, la disattenzione, la scortesia, la negligenza, il disinteresse nei fatti, anche dei pubblici amministratori».

Titolano i blog: «In macchina, solo merde». Si strappano le vesti perché è in coma una giornalista del "Times", per incidente ciclistico, caso che ha spinto il noto quotidiano di Londra a sostenere una campagna a sostegno della sicurezza dei ciclisti, detta "Cities fit for cycling". Decine di richiami e blog sono arrivati subito ad una proposta di legge. È una di quelle cose che poi muove la gente contro i Legifici, queste strutture politiche costosissime che a fatica si occupano di cose serie, ma che si mobilitano per cause evidentemente solo nominalistiche o di poco conto, come il benessere degli animali domestici, l'elettrosmog o altre cause lontane nel tempo e nello spazio di disastri ambientali. La proposta di legge "Interventi per lo sviluppo e la tutela della mobilità ciclistica" è stata promossa dal democratico Francesco Ferrante, assieme ai democratici Adamo, Agostini, Amati Andria, Armato, Barbolini, Bastico, Bassoli, Biondelli, Bosone, Carofiglio, Casson, Chiti, Vita più altri 24; dai radicali Bonino, Perduca e Poretti; ma anche da 5 Pdl (Alicata, D'Ali Fluttero, Orsi e Nessa), dai terzopolisti Baio, Bruno, De Luca, Gustavino, Peterlini, Pinzger, Serra e Tedesco, nonché dai dipietristi Pardi e Giambrone. Nomi da ricordare per gli automobilisti, che pagano due volte in più degli altri l'assistenza sanitaria, che sostengono una parte notevole di entrate erariali, che soffrono tutti i giorni ore per raggiungere il lavoro o la famiglia in un contesto di strade mai migliorate negli ultimi trent'anni. Non meraviglia che la maggior parte delle firme sia del Pd, che confonde astratti messaggi belli e democratici senza accorgersi che sono fatti per l'elite societaria che già vive meglio.

Per i ceti medio bassi vivere con la bici può essere possibile in piccole città come Pisa, ad esempio, ma in generale è impossibile. D'altronde le stesse menti illuminate che predicano la disponibilità alla mobilità sociale per agevolare il mercato, poi vorrebbero punire i mezzi utili a raggiungere le località più distanti. Per chi ha a cuore la gente, è evidente che l'automobile è uno strumento di libertà personale. La seconda cosa più importante per la gente comune dopo il possesso dell'abitazione. Anche qui non meraviglia che chi attacca la proprietà della casa (stupidamente preferita all'istruzione), poi abbia nel mirino l'auto. Di auto ce ne sono anche troppe, è vero, il che determina il fatto che se ne venderanno sempre meno, mettendo a rischio occupazione e brand del mercato relativo. Sarebbe un bene anche potere usare l'auto quando si vuole e non obbligatoriamente grazie al telelavoro che rende superfluo mantenere grandi sedi aziendali e amministrative. Comunque ogni scelta dovrebbe restare del singolo senza campagne moralizzanti tese a condannare l'automobilista rispetto al ciclista.

Pochi in realtà, tra i non giovanissimi, sono in grado di usare la bike con l'energia necessaria per i ritmi di una normale giornata urbana. Ben per loro, il che non deve essere male per gli altri. Dispiace a tutti per 2.556 ciclisti morti l'anno, ma deve dispiacere anche dei 7mila morti l'anno per il traffico. L'attenzione stessa non può che indirizzarsi proporzionalmente ai numeri che parlano da soli. In Europa abbiamo avuto anche 120mila morti in un anno con 2 milioni di incidenti. C'è molto da fare per proteggere pedoni e automobilisti senza dire la bugia che le città siano fatte per il ciclista come sostiene il "Times". Non è vero; il parco, il cortile, il centro città ed i quartieri snob sono fatti per il ciclista. Le strade no; sono fatte per macinare km. Il Times potrebbe pensare ai milioni di londinesi che si fanno in auto o treno anche 200 km per raggiungere il lavoro. Altrimenti anche l'incidente, il dolore e l'attenzione sono un privilegio per i già privilegiati.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:52