
Per la prima volta nei suoi 50 anni di storia una delegazione del Consiglio Superiore della Magistratura, guidata dal vicepresidente Michele Vietti, con allegato codazzo di giornalisti e reporter per immortalare l'evento, ha visitato un carcere italiano: quello di Rebibbia a Roma. La delegazione ha incontrato detenuti, rappresentanti della Polizia penitenziaria, operatori ed educatori. E c'è da augurarsi che ne abbia ricavato qualche frutto. Si potrebbe obiettare in punta di diritto che il Csm ha altri compiti, ma tante volte ha debordato e questa, tutto sommato, appare tra le meno gravi.
Nel corso del confronto Vietti ha auspicato una «drastica e radicale depenalizzazione» non solo per alleggerire le carceri, ma anche a vantaggio di un sistema processuale «ostruito da un'eccessiva quantità di procedimenti. Abbiamo un sistema pena sovrabbondante, dove tutto è reato, e che ha l'effetto di intasare i processi e spesso di farli prescrivere», dice Vietti rispondendo alla domanda di un detenuto. Un sistema «non equo», visto che non si applicano le pene «a chi se lo merita davvero» mentre lo si fa con chi «ha meno possibilità di difesa nel processo»; così, oltre a una massiccia depenalizzazione, Vietti auspica anche una «decarcerizzazione», perché «punire tutto con il carcere non è possibile, bisogna puntare ad una politica che preveda misure alternative al carcere per quei reati che lo consentano, e che tenga conto per gli altri reati del comportamento del detenuto». A esplicita e diretta domanda relativa all'amnistia, Vietti ha risposto «non rientra nelle mie competenze». Una decisione spetta al Parlamento ed eventualmente al governo. Sommessamente si vorrebbe suggerire al Csm e al suo vice-presidente di predisporre, nell'ambito dei corsi di formazione per i magistrati, visite nelle carceri italiane. Sarebbe cosa formativa. «Velocizzare i processi» dice Vietti dal Csm. Quello stesso Csm che giorni fa ha preso una decisione che, per come la si apprende, non può che sconcertare. Vale la pena di raccontarla, questa storia: è il caso di un procuratore di fatto "punito" perché ha lavorato.
Giorni fa il plenum ha stabilito che Renzo Dell'Anno non sarà più il procuratore capo di Pistoia. Decisione, si legge nelle motivazioni, maturata in base a valutazioni di carattere formale sulle modalità con cui Dell'Anno ha diretto in questi anni il proprio ufficio. Tra le principali motivazioni addotte si evidenzia in particolare quella relativa alla gran mole di lavoro "operativo" che il dottor Dell'Anno ha portato a termine in prima persona in tale periodo: migliaia di fascicoli che si è accollato sia per sgravare dai tanti arretrati i suoi sostituti sia per raggiungere l'obiettivo (del quale, una volta raggiunto, si è dichiarato orgoglioso) di eliminare dalla procura di Pistoia il rischio prescrizione: un lavoro encomiabile che, evidentemente, mentre sarebbe tale per un semplice sostituto procuratore, è invece, secondo il Csm, improprio per un procuratore capo, che dovrebbe dirigere l'ufficio, programmando e coordinando l'attività degli altri e non, in pratica, "fare" il magistrato . Anche se solo come "facente funzioni".
Nel frattempo da Napoli una denuncia che meriterebbe di essere presa in considerazione, non foss'altro per smentirla. Se ne fa interprete il segretario del Sappe, uno dei sindacati della polizia penitenziaria Donato Capace. Nel carcere di Poggioreale si ricicla denaro "sporco"?
Denuncia grave, e forse proprio per questo ignorata. Si parte dalla "fotografia" del carcere napoletano di Poggioreale: tra i più affollati d'Italia, con oltre 2.700 detenuti stipati, a fronte di una capacità regolamentare della struttura di circa 1.500 posti letto. Fa presente il Sappe che in quel carcere si registra un movimento di denaro per circa 640mila euro ogni mese, 8 milioni di euro all'anno, senza alcuna "tracciabilità" e con il rischio sotteso di manovre neppure troppo oscure della camorra.
A questo punto conviene lasciare la parola al segretario del Sappe, Donato Capece: «Nella Casa Circondariale di Napoli Poggioreale la movimentazione di denaro che entra in istituto ogni mese, vale a dire circa 640 mila euro, si ottiene all'anno una cifra di circa 8 milioni di euro, al netto di eventuali vaglia postali, in mano ai reclusi. In occasione dei circa 600 colloqui che vi si tengono ogni giorno, a causa del versamento presso l'ufficio del Bollettario di una somma di denaro che può raggiungere gli ottocento euro mensili, tenuto conto che ogni recluso ha a disposizione un tetto massimo di circa 200 euro settimanali, entra negli otto padiglioni un fiume di denaro: vale a dire che, poiché in ogni cella si trovano 8-10 reclusi, ogni camera di detenzione può disporre di quasi otto mila euro al mese. Vi sarebbe allora da spiegare tale movimentazione record di denaro, che non lascia alcuna tracciabilità, dal momento che non può non sorgere il sospetto che si tratti di compensi per affiliare e per gli affiliati ai clan camorristici».
La perplessità aumenta se solo si confrontano i dati "napoletani" con quelli di altre realtà carcerarie nazionali dove ogni detenuto incamera quattro volte di meno. Basta per dire che «la struttura napoletana rischia di diventare una palestra criminale, una accademia nella quale la criminalità organizzata riesce ad allevare e a reclutare manodopera?». Capece ricorda che ogni giorno, nel carcere napoletano, «si buttano circa 2500 pasti al giorno: uno spreco inconcepibile che evidenzia una netta contraddizione, quando dai bollettari compilati dal personale del Corpo emergono cifre e bilanci che rendono superfluo il vitto fornito dall'Amministrazione, a fronte delle numerosissime richieste che pervengono al sopravvitto: un volume di denaro da far impallidire una società per azioni quotata in borsa. Di fatto i due terzi del cibo preparato e pagato dallo Stato finiscono nella spazzatura: e questo è vergognoso oltreché immorale in tempi di crisi come quelli attuali».
Anche questa potrebbe essere una manovra della camorra per acquisire consenso tra i detenuti: «La maggior parte dei detenuti cucina in cella e ai più indigenti i boss forniscono la sussistenza quotidiana rifornendoli di cibo, che diventa quindi occasione di affiliazione e sottomissione».
Com'è possibile, si chiede Capece «che soggetti e famiglie indigenti e nullatenenti siano in grado di depositare ingenti somme di denaro a favore di detenuti di Napoli Poggioreale per i quali lo stato si fa carico del gratuito patrocinio?».
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:39